Perché la curia romana ha bisogno del Vecchio Testamento? (seconda parte)



Ripartiamo, in questa seconda parte della nostra indagine sui motivi che portano la chiesa romana a rimanere ancorata al vecchio testamento, dalla bolla papale “Romanus Pontifex”. Documento emanato nel 1454 d.C. da Papa Nicolò V e che qui di seguito riportiamo tradotta in lingua corrente (per chi volesse, in rete è reperibile l’edizione in lingua latina in cui le bolle sono scritte). 


Traduzione della Bolla di Nicolò V, Romanus Pontifex (del 08. 01. 1454):


Niccolò (V) vescovo, servo dei servi di Dio, a ricordo perpetuo della cosa. 

Il romano pontefice, successore del celeste chiavigero (san Pietro) e vicario di Gesù Cristo, interessandosi con paterna considerazione a tutti i climi del mondo e alle qualità di tutte le nazioni che vi dimorano, desiderando e cercando la salvezza di ogni singolo, salutarmente ordina e dispone con attenta deliberazione le cose che egli sa gradite alla Divina Maestà, e con le quali può condurre le pecore, affidategli per ordine divino all’unico ovile del Signore, e acquisti per esse il premio della felicità eterna, e venga il perdono per le loro anime. E crediamo che ciò potrà più sicuramente provenire dall’azione di Dio, se ricompenseremo con particolari favori e speciali grazie quei re e principi cattolici, di cui conosciamo fatti evidenti che come atleti e intrepidi combattenti della fede cristiana non solo reprimono la ferocia dei Saraceni e degli altri infedeli nemici dei Cristiani, ma anche conquistano i loro regni e luoghi, anche se esistenti in lontanissime e incognite parti da noi, per la difesa e l’aumento della fede, li sconfiggono e li assoggettano al loro dominio temporale, nulla risparmiando in fatiche e spese; affinchè gli stessi re e prìncipi, sollevati da ogni possibile ostacolo, siano animati a proseguire sempre più tale salutare e lodabile opera. 

1. Recentemente ci è pervenuta notizia, non senza ingente gioia e letizia della nostra mente, che il nostro diletto figlio, il nobile Enrico, infante di Portogallo, zio del nostro carissimo figlio in Cristo Alfonso (V), re illustre dei regni di Portogallo e Algarve, ereditando le vestigia di Giovanni (I) di famosa memoria, suo genitore re dei regni suddetti, e acceso di zelo per la salvezza delle anime e di ardore per la fede, come soldato cattolico e vero di Cristo Creatore di tutte le cose, e acerrimo e fortissimo difensore e intrepido combattente della fede, ha sempre aspirato, fin dall’ingresso nell’età, a divulgare, lodare e venerare il gloriosissimo nome del Creatore per tutto il mondo, anche nei luoghi più remoti e incogniti, e anche ricondurre in grembo alla sua fede vivificante, per la quale fummo redenti, anche i perfidi nemici della Croce, specialmente i Saraceni e tutti gli altri infedeli. Noi abbiamo anche appreso che dopo che la città di Ceuta in Africa era stata soggiogata al dominio dal suddetto re Giovanni, e dopo che molte guerre erano state combattute, anche in persona dallo stesso infante, a nome del suddetto re (Giovanni), contro i suddetti nemici ed infedeli, non senza grandissimi disagi e spesa, pericoli e perdita di cose e di persone, e l’uccisione di molti di loro, (l’infante), né indebolito né spaventato da tante imprese belliche, pericoli e danni, ma piuttosto ancor più ansioso di perseguire il suo scopo lodevole e pio, popolò di fedeli alcune isole solitarie del mare oceano (Atlantico) e vi fondò e costruì chiese e altri pii luoghi, nei quali si celebra il servizio divino. E per l’opera lodevole e l’industriosità di suddetto infante, moltissimi abitanti delle diverse isole esistenti nel detto mare, sono venuti a conoscenza del vero Dio, hanno ricevuto il santo battesimo, a lode e gloria dello stesso Dio e per la salvezza di molte anime, la propagazione della fede ortodossa e l’aumento del culto divino. 

2. Inoltre poiché tempo fa venne notizia al suddetto infante che mai, o almeno da memoria d’uomo, era consueto navigare su tale mare oceano verso le coste meridionali ed orientali, così incognite a noi, abitanti dell’occidente, che non abbiamo nessuna conoscenza certa delle genti di quelle parti, credette che avrebbe massimamente prestato ossequio a Dio, se con la sua opera e industriosità avesse fatto navigabile il mare fino agli Indiani, che si dice venerino il nome di Cristo, così da negoziare con loro e poterli coinvolgere come aiuto ai Cristiani contro i Saraceni e altri simili nemici della fede, e conquistare certe genti e pagani che vivono in mezzo (tra Cristiani e Indiani), popoli infettati dalla setta del nefandissimo Maometto, e predicare e far predicare il a loro incognito sacratissimo nome di Cristo: sempre sostenuto dall’autorità regia, da venticinque anni in qua, egli non cessò di inviare ogni anno schiere verso i suddetti regni, con massimi sforzi, pericoli e spese, con navi velocissime dette caravelle, per esplorare il mare e le province marittime verso le parti meridionali e il polo antartico. E così accadde che quando le navi esplorarono in tal modo molti porti, isole e mari, pervennero anche alla provincia di Guinea e occuparono alcune isole, porti e mari adiacenti alla provincia. Navigando ulteriormente pervenirono alla foce di un largo fiume, considerato comunemente il Nilo (in realtà il fiume Senegal). E contro i popoli di quelle parti, nel nome di re Alfonso e dell’infante, per alcuni anni si ebbe la guerra, e in essa numerose isole vicine furono sottomesse e possedute pacificamente, e ancora sono possedute con il mare adiacente. 

3. Da allora molti Guinei e altri negri catturati con forza, e altri ottenuti con permutazione di cose non proibite, o con altro legittimo contratto d’acquisto, furono inviati nel regno suddetto (Portogallo). Di questi un copioso numero si convertì alla fede cattolica, e si spera, favorente la divina clemenza, che se si continua tra loro un tale progresso, o questi popoli si convertiranno alla fede, o almeno le anime di molti di loro verranno acquistate a Cristo. 

4. Come siamo stati informati, il re e l’infante suddetti, che con tanti pericoli, fatiche e spese, e con la perdita di sudditi, molti dei quali morirono in quelle spedizioni, e con solo l’aiuto di quei sudditi, fecero esplorare queste province, e conquistarono e possederono in tal modo suddetti porti, isole e mari, come veri signori di essi, hanno temuto che alcuni, condotti dalla cupidigia, possano navigare verso quelle parti, desiderosi di usurpare od ostacolare il compimento, il risultato e la lode di tale opera, per portare o trasportare, sia per lucro che per malizia, ferro, armi, legni e altre cose e beni, i quali è proibito portare o trasmettere agli infedeli, o educare gli stessi infedeli nel modo della navigazione, con la quale diverrebbero per loro (il re e l’infante) nemici più forti e duri, e in tal modo la prosecuzione (dell’esplorazione) sarebbe impedita o del tutto cessata, non senza grande offesa a Dio ed ingente obbrobrio dell’intera Cristianità. 

Per impedire le suddette cose e per conservare il loro (del re e dell’infante) diritto e possesso, proibirono e stabilirono sotto gravissime pene che in generale nessuno, se non con propri (portoghesi) navi e marinai e pagando un certo tributo, e ottenuta una esplicita licenza concessa prima dagli stessi re ed infante, presuma di salpare verso le dette province, o di commerciare nei loro porti, o di pescare nel mare. Tuttavia nel tempo successivo potrebbe avvenire che persone di altri regni e nazioni, condotte da invidia, malizia e cupidigia, contro la suddetta proibizione, presumano, senza licenza e pagamento di tributo, di accedere alle dette province, e raggiunte tali province, porti, isole e mari, di navigare, commerciare e pescare, e dunque tra (loro e) il re Alfonso e l’infante, che in nessun modo si mostrerebbero sconfitti per loro, potrebbero conseguire e ne conseguiranno (di certo) grandi odi, rancori, dissensi, guerre e scandali, con massima offesa a Dio e pericolo delle anime. 

5. Noi, pensando con debita meditazione a tutte e alle singole cose premesse, con altre nostre lettere, abbiamo già concesso, tra le altre cose, piena e completa facoltà al suddetto re Alfonso di invadere, conquistare, espugnare, sconfiggere e soggiogare tutti i Saraceni e pagani e altri nemici di Cristo ovunque vivono, e i loro regni, ducati, principati, signorie, possessi, e tutti i beni mobili e immobili da loro detenuti o posseduti, e le loro persone ridurre in perpetua schiavitù, e di occupare, appropriarsi e convertire a proprio uso e profitto proprio e dei suoi successori tali regni, ducati, contee, principati, signorie, possessioni e beni. 
Ottenuta suddetta facoltà, il re Alfonso o il suddetto infante con la sua autorità, hanno giustamente e legittimamente occupato isole, terre, porti e mari, li hanno possedute e li posseggono, e spettano e sono proprietà di diritto dello stesso re Alfonso e dei suoi successori. 
E non è stato finora né è lecito, per qualsiasi altro dei fedeli in Cristo senza speciale licenza di re Alfonso e dei suoi successori, intromettersi in qualche modo; affinché il re Alfonso e i suoi successori e l’infante possano compiere e compiano questa opera sincera e piissima e illustre e degnissima di essere ricordata in ogni tempo, la quale, per la salvezza delle anime, l’aumento della fede e la sconfitta dei suoi nemici, consideriamo una cosa che attiene Dio, la sua fede, e la chiesa universale, con tanta maggior perfezione in quanto, rimosso ogni ostacolo, si vedranno più fortificati da favori e grazie concessi da noi e dalla Sede Apostolica. Pienamente informati circa tutte e singole le cose premesse, con nostra propria iniziativa, senza alcuna sollecitazione da parte di re Alfonso e dell’Infante, o petizione presentata da alcuno per conto loro, dopo matura deliberazione, noi decretiamo e dichiariamo con autorità apostolica e per sicura conoscenza, per la pienezza del potere apostolico, che le suddette lettere di concessione, il cui contenuto vogliamo che sia osservato come se fosse incluso parola per parola nella presente (lettera), insieme a tutte e singole le clausole in esse contenute, siano estese a Ceuta e ai predetti luoghi e a qualunque altro, anche se acquisito prima della facoltà data da suddette lettere, e a quelle province, isole, porti e mari, qualunque esse siano, che per l’avvenire siano strappate, in nome del detto re Alfonso e dei suoi successori e dell’infante, dalle mani degli infedeli o pagani in quelle e nelle regioni contigue e più lontane e remote. Noi decretiamo anche che per forza della facoltà di quelle e della presente lettera, i luoghi già acquisiti e quelli che lo saranno in futuro, dopo la loro acquisizione, spettino e appartengano in perpetuo di diritto al re Alfonso, ai suoi successori e all’infante, e che la conquista, che con queste lettere dichiariamo dai capi di Borador e Nam fino a tutta la Guinea, e cioè verso le coste meridionali, appartengono ed apparterranno in perpetuo a re Alfonso, ai suoi successori e all’infante, e a nessun altro. Noi anche decretiamo e dichiariamo con la presente, che re Alfonso e i suoi successori e l’infante, qualunque proibizione, statuto e mandato, anche penale e riguardante l’imposizione di qualsiasi tipo di tributo, ora e in futuro possono liberamente e lecitamente disporre e ordinare, circa questi territori, le proprie cose e gli altri loro domìni. E per un più potente diritto e una garanzia, doniamo, concediamo e assegniamo in perpetuo con la presente le province, isole, porti, luoghi e mari (qualunque siano la loro conformazione, numero e qualità), che sono già stati acquisiti e che lo saranno in futuro, dai suddetti capi di Borador e Nam, a re Alfonso e ai suoi successori, re dei suddetti regni, e all’infante. 

6. Inoltre, poiché è in molti modi opportuno per il conseguimento dell’opera, i suddetti re Alfonso e i successori e l’infante e le persone che guidano, o altri che guideranno, secondo la concessione fatta al suddetto re Giovanni da Martino V di felice memoria, e un’altra fatta al re Alfonso di famosa memoria, re degli stessi regni, padre dello stesso re Alfonso, da Eugenio IV di pia memoria, pontefici di Roma nostri predecessori, noi garantiamo che le persone suddette possono in ognuno dei suddeti luoghi, a saraceni e infedeli, comprare e vendere qualsiasi cosa, bene e vitto, secondo come riterranno conveniente, e concludere qualsiasi contratto, transazione, affare, acquisto e negozio, e trasportare qualsiasi merce, a meno che non siano metalli, legni, fune, navi, armature da vendere agli stessi Saraceni e infedeli; ed essi possono anche fare, compiere ed effettuare nelle suddette cose tutte quelle altre azioni, opportune e necessarie. 
Gli stessi re Alfonso, i successori e l’infante, nelle province, isole e luoghi già acquisiti o da acquisire, possono fondare e far fondare e costruire chiese, monasteri e altri pii luoghi, e possono inviarvi qualunque persona volontaria, ecclesiastici, secolari e anche regolari di qualche ordine mendicante (tuttavia con licenza dei loro superiori), e queste persone potranno dimorarvi per tutta la loro vita ed accogliere le confessioni di qualsiasi persona, indigeno o forestiero di suddetti luoghi, e dopo la confessione potranno concedere la debita assoluzione in tutti i casi, eccetto quelli riservati alla suddetta Sede, ed imporre una salutare penitenza, e potranno dispensare i Sacramenti della Chiesa liberamente e legalmente. Questo concediamo e permettiamo a Alfonso e i suoi successori, re del Portogallo, che regneranno dopo di lui, e al suddetto infante. 

7. E tutti e singoli i fedeli di Cristo, ecclesiastici, secolari e regolari di qualunque ordine, in qualsiasi parte del mondo vivono, di qualsiasi stato, grado, ordine, condizione o dignità sono, anche insigniti delle dignità arcivescovile, vescovile, imperiale, regale, ducale o di qualsiasi altra eccelsa dignità ecclesiastica o temporale, scongiuriamo nel Signore e per l’aspersione del sangue del Signore nostro Gesù (dal quale come suddetto quest’opera è condotta) ed esortiamo e ingiungiamo loro per la remissione dei loro peccati, e proibiamo strettamente, con questo editto perpetuo di divieto, di inviare in alcun modo ai Saraceni, agli infedeli o pagani, armi, ferro, legni e altre cose che la legge proibisce, e di importarli in qualsiasi provincia, isola, porto, mare e luogo, acquisito o posseduto in nome di re Alfonso, o situato in una regione conquistata o altrove. E anche non presumano fare o impedire in alcun modo, senza una licenza speciale di re Alfonso e dei suoi successori e dell’infante, di trasportare merci e altre cose permesse dalla legge, o di navigare in tali mari, o farli percorrere e navigare, o pescare in essi, o intervenire nelle dette province, isole, porti, mari e luoghi o in alcuno di essi, o di interferire con tale conquista o di perseguire tale conquista personalmente o per altri, direttamente o indirettamente, con opere o con consigli, o di agire ostacolando in tal modo i suddetti re Alfonso e i suoi successori e l’infante, che sia loro impedito il pacifico possesso dei territorii, conquistati ed occupati, ed il progredire ed il compirsi della loro conquista. 

8. Coloro che faranno il contrario, oltre che nelle pene contro coloro che inviano ai Saraceni armi e altre cose proibite dalla legge, nelle quali vogliamo che incorrano ipso facto, incorreranno, se sono singole persone, nella sentenza di scomunica; se invece sono una comunità o corporazione di una città, castello, villaggio o luogo, queste città, castello, villaggio o luogo saranno colpiti da interdetto. I contravventori non saranno assolti dalla sentenza di scomunica, né individualmente né collettivamente, né potranno ottenere che venga rilasciato un interdetto di tal genere per autorità apostolica o qualsiasi altra, se prima non avranno dato congrua soddisfazione ai suddetti Alfonso e successori e infante, o non avranno raggiunto con loro un amichevole accordo sulla questione. Con questi scritti apostolici ordiniamo ai nostri fratelli, l’arcivescovo di Lisbona e i vescovi di Silves e Ceuta, che loro (o due o uno di loro), per sé o per altro o per altri, per quante volte sarà loro richiesto da parte dei suddetti re Alfonso e i suoi successori e l’infante o di uno di loro, dichiarino e annuncino e lo facciano annunciare da altri per apostolica autorità, la domenica e gli altri giorni di festa, nella chiese, quando grande moltitudine di popolo si congrega per le cose divina, che coloro che sono manifestamente incorsi in tali sentenze di scomunica ed interdetto, sono stati e sono scomunicati e posti sotto interdetto, e sono obbligati a subire tutte le altre pene come stabilito sopra, e rigorosamente evitare da tutti, finché non avranno dato soddisfazione o raggiunto un accordo, come detto sopra. 

9. I contravventori saranno colpiti da censura ecclesiastica senza diritto di appello, nonostante qualsiasi costituzione e ordinanza apostolica o altra disposizione in contrario. 

10. Per le altre cose, la presente lettera che è stata da noi emanata, come detto sopra, con nostra certa conoscenza e dopo matura deliberazione, affinché non possa essere impugnata da qualcuno come surrettizia o nulla, vogliamo, decretiamo e dichiariamo per autorità apostolica, conoscenza e potere suddetti, che questa lettera e le cose in essa contenute nessuno possa impugnare, né ritardarne l’effetto, né annullare per qualunque difetto presso il potere ordinario o di altro tipo, ma che sia valida in perpetuo ed ottenga piena e forte autorità. E sia invalido e nullo se qualcuno, con qualsiasi autorità, scientemente o no, tentasse qualcosa di contrario a queste cose. 

11. Inoltre, poiché sarebbe difficile portare la nostra presente lettera in ogni luogo, vogliamo e decretiamo, per la suddetta autorità, che sia data piena fede a trascrizioni per mano pubblica e munite col sigillo di un vescovo o di altro superiore di curia ecclesiastica, come se questa lettera originale fosse esposta o affissa, e le sentenze di scomunica e le altre in essa contenute, entro due mesi contando dal giorno in cui questa stessa presente lettera o una carta o pergamena dello stesso contenuto saranno affissi alla porta della chiesa di Lisbona, colpiranno tutti e i singoli che contrastano suddette cose, come se la presente lettera fosse reso presentata a loro personalmente e legittimamente. 

12. Dunque a nessuno sia lecito, questa pagina di nostra dichiarazione, costituzione, donazione, concessione, assegnazione, decreto, supplica, esortazione, ingiunzione, inibizione, mandato e volontà, infrangere o temerariamente contrariare. Ma se alcuno si attentasse a ciò, sappia che incorrerà nell’indignazione dell’Onnipotente Dio e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo. 

Dato a Roma in San Pietro, nell’anno dell’Incarnazione del Signore 1454, 8 gennaio, anno ottavo del nostro pontificato. 


Tediosa e lunga bolla di Nicolò V, ma molto utile perché afferma, in più parti, che la curia romana esegue una dichiarazione, costituzione, donazione, concessione, assegnazione, decreto, supplica, esortazione, ingiunzione, inibizione, mandato e volontà. Queste parole la rendono a noi utile per comprendere l’importanza del vecchio testamento. In altre parole come dio con Mosè fa un patto, così la chiesa di Roma fa un patto con il re del Portogallo e con i suoi discendenti: loro si occupano di portare la dottrina romana nei luoghi sconosciuti, in cambio la curia romana “dona” la proprietà delle terre conquistate e quanto in esso contenute, potendo ridurre in schiavitù gli infedeli. E’ importate questa forma di contratto, perché ricalca esattamente quanto fatto יַהְוֶה‎ Yahweh sul monte Sinai con Mosè. Eccovi il dialogo tra il personaggio che la tradizione fa passare sempre per il Signore e il presunto suddito uscito dall'Egitto con il popolo di Israele: 


Esodo 34:1-28 tratto dalla bibbia TILC - Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente: 


1 יַהְוֶה‎ Yahweh disse a Mosè: 'Taglia due tavole di pietra come quelle che hai spezzato. Io scriverò su queste nuove tavole i comandamenti che avevo scritto sulle prime. 2 Tieniti pronto per domani mattina: all'alba salirai sul monte Sinai e starai di fronte a me lassù, in cima al monte. 3 Nessuno ti accompagni! Nessuno si faccia vedere sulla montagna e neppure il vostro bestiame venga a pascolare nei suoi dintorni!'. 
4 Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime. Il mattino dopo, molto presto, salì sul monte Sinai, secondo l'ordine di יַהְוֶה‎ Yahweh. Portava con sé le due tavole di pietra. Dio appare a Mosè 
5 Allora יַהְוֶה‎ Yahweh si manifestò con una nube. Si fermò là, vicino a Mosè, e proclamò il suo nome: 'יַהְוֶה‎ Yahweh '. 6 Poi il Signore passò ancora davanti a lui e disse: 'Io sono יַהְוֶה‎ Yahweh, il Dio misericordioso e clemente, sono paziente, sempre ben disposto e fedele. 7 Conservo la mia benevolenza verso gli uomini per migliaia di generazioni, e tollero le disubbidienze, i delitti e i peccati; ma anche non lascio senza punizione chi pecca, e lo castigo sui suoi figli fino alla terza e alla quarta generazione'. 
8 Subito Mosè si inchinò fino a terra per adorare יַהְוֶה‎ Yahweh, 9 poi disse: ' יַהְוֶה‎ Yahweh, tu mi hai dato la tua fiducia, ti prego perciò di venire insieme a noi. Riconosco che è gente dalla testa dura, ma tu perdona le nostre disubbidienze e i nostri peccati, e prendici come tua proprietà'. 
10 יַהְוֶה‎ Yahweh dichiarò a Mosè: 'Io voglio concludere un'alleanza con voi. Alla presenza di tutto il tuo popolo farò prodigi mai compiuti in nessun paese e presso nessun popolo. Tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà come sono straordinarie le mie opere e quel che io ho intenzione di fare per mezzo di te. 11 'Osservate dunque tutto quel che io ti comando in questo giorno, e io scaccerò davanti a voi gli Amorrei, i Cananei, gli Ittiti, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei. 12 State bene attenti a non scendere a patti con gli abitanti della terra nella quale entrerete: sarebbe una trappola per voi. 13 Anzi, dovrete distruggere i loro altari, spezzare le loro stele e tagliare i loro pali sacri. 14 Non dovete adorare un dio straniero, perché io, יַהְוֶה‎ Yahweh, mi chiamo anche il Dio Geloso: non sopporto di avere rivali. 15 Non scendete dunque a patti con gli abitanti di quella terra: altrimenti, quando celebreranno il culto ai loro idoli e faranno sacrifici ai loro dèi, vi inviteranno a partecipare, e voi finireste per mangiare la carne degli animali offerti ai loro dèi. 16 E poi scegliereste tra di loro le mogli per i vostri figli, e quando esse celebreranno il culto ai loro idoli indurranno anche i vostri figli a vendersi ai loro dèi. 
17 'Non fatevi la statua di nessun Dio. 
18 'Osservate la festa degli Azzimi: nella ricorrenza del mese di Abib, il mese in cui siete usciti dall'Egitto, dovete mangiare per sette giorni pane non lievitato, come vi ho comandato. 
19 'Ogni primogenito appartiene a me, anche quelli del vostro bestiame: ogni primo nato maschio della vacca, della pecora o della capra deve essere offerto a me. 20 AI posto del primogenito dell'asina dovete offrire un agnello. Se non volete sostituire l'asino, gli spezzerete il collo. In ogni caso dovete sacrificare un animale al posto di ogni maschio primogenito dei vostri figli. Nessuno osi presentarsi al mio santuario a mani vuote. 
21 'Lavorate sei giorni e il settimo riposatevi: osserverete questo riposo anche nel tempo dell'aratura e della mietitura. 
22 'Celebrate anche la festa delle Settimane, per offrirmi le primizie della mietitura del frumento, e la festa del Raccolto alla fine dell'anno. 
23 'In queste tre feste annuali gli uomini si presenteranno a me, יַהְוֶה‎ Yahweh Dio, il Dio di Israele. 24 Nessuno oserà impadronirsi della vostra terra, quando verrete al mio santuario al tempo di queste tre feste annuali, perché io scaccerò molti popoli davanti a voi e farò ingrandire i vostri confini. 
25 'Il sangue dei sacrifici non potete offrirlo insieme a pane lievitato, e l'animale sacrificato per la festa di Pasqua non potrete conservarlo fino al mattino seguente. 26 Offrite nel tempio di יַהְוֶה‎ Yahweh vostro Dio il meglio dei vostri raccolti. Non fate cuocere un capretto nel latte di sua madre'. 
27 יַהְוֶה‎ Yahweh ordinò ancora a Mosè: 'Scrivi questi comandamenti, perché essi stanno alla base dell'alleanza che concludo con te e con il popolo d'Israele'. 
28 Mosè rimase sul monte con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare e senza bere. Il Signore scrisse sulle tavole di pietra le parole dell'alleanza, i dieci comandamenti.


Se avete notato lo stile di יַהְוֶה‎ Yahweh, esso è lo stesso che adotta il sistema romano: quello di concedere in gestione qualcosa a patto che in cambio gli venga riconosciuta la fedeltà. Questi versetti tratti dal libro dell'Esodo, sono chiamati i versetti della seconda alleanza, quella definitiva, quella che sancisce il rapporto tra Israele e יַהְוֶה‎ Yahweh. E' veramente incredibile come la metodologia utilizzata nella bolla è mutuata pari pari dal sistema veterotestamentario di stringere i patti. Il punto è che nella nuova alleanza, quella neotestamentaria, questa modalità non è presente, per cui risulta difficile concedere in gestione il possesso, che presuppone di averne la proprietà (come visto con l'articolo precedente), quando il presunto "figlio" di יַהְוֶה‎ Yahweh, Gesù, parla esplicitamente di condivisione dei beni. Senza ulteriormente allungare il brodo di questo già lungo secondo articolo, leggendo sia la seconda alleanza del monte Sinai, che la bolla papale, è chiaro come se non ci fosse il vecchio testamento, la chiesa medioevale e rinascimentale avrebbe avuto molti meno appigli "divini" per giustificare il suo atteggiamento politico. Nel prossimo articolo, toccheremo un altro aspetto di questo connubio inscindibile tra chiesa e vecchio testamento.

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