Μακάριοι (Macarioi) cioè Beati: LE BEATITUDINI (parte prima)

Eccoci, come promesso nell’articolo in cui abbiamo trattato il termine “apostolo” – “inviato”, a parlare delle beatitudini, queste sconosciute ai più (e non solo). Dico ciò perché se chiedo a chiunque di elencarmi e dirmi i dieci comandamenti, quasi tutti, con qualche imbeccata, me li sanno dire. Se invece chiedo di elencarmi le beatitudini, non solo si fermano alla prima: “beati i poveri” e poi silenzio, ma anche non sanno dire quante sono (a volte sei, a volte sette, ma…).
Allora eccoci qui a cercare di parlarne un po’ di più e a capire cosa significhino per noi, uomini del terzo millennio, questa spettacolare prospettiva di felicità da vivere ora e non in un altro tempo o vita. Vi chiedo di mettervi comodi e armarvi di un po’ di pazienza perché l’argomento è vasto e noi, pur cercando di trattarlo con estrema sintesi, non vogliamo tralasciare nulla relativamente al cuore della spiritualità insegnata dal Maestro.
Cominciamo con il dire che questo messaggio è stato, purtroppo, traviato dalle stesse chiese per secoli, portando molti pensatori liberi a definire la religione l’”oppio dei popoli”. Io direi a ragion veduta; se prendiamo l’interpretazione, che per più di un millennio, si è data alla prima delle beatitudini : ”beati i poveri”, affermando che i poveri, coloro che vivono nella miseria più totale, devono essere felici perché nella vita dopo la morte troveranno una ricompensa enorme, capite che si sta cercando di narcotizzare la mente umana. Si sta dicendo: tu, “sfigato”, rimani nella condizione in cui sei, tanto nella vita che conta, quella nell’aldilà, sarai beato, però intanto noi facciamo i fatti nostri a modo nostro. Altro che oppio!!!
Chi ha contestato questo messaggio ha avuto ragione. Le beatitudine, per molti e molti anni, sono stati la carta magna teologica per tenere l’umanità in uno stato di limbo intellettuale. Poiché in queste righe dei vangeli vengono elencate tutti gli stati di disgrazia degli uomini, si è fatto credere che il Maestro abbia beatificato questi disgraziati dell’umanità. Utilizzando questa “anfibolia”, per usare un termine kantiano, cioè equivoci che possono portare ad un’errata interpretazione del significato, le chiese hanno placato gli animi di migliaia di fedeli. Ancora oggi questo messaggio viene divulgato con molta difficoltà, preferendo far studiare a memoria la legge di Mosè, piuttosto che questa elevazione della vita alla gioia piena qui ed ora.
Sinceramente non mi sono mai convinto che una persona come il Maestro potesse proclamare un discorso, a riguardo della felicità dell’essere umano, affermando beati gli “sfigati”, o chiedendo di diventare tali per essere felici, anche perché dove sarebbe la “bella notizia”?. Tant’è che nel corso della storia chi ha potuto uscire da queste situazioni di miseria, se ne ben infischiato di queste beatitudini, evitando di rimetterci i piedi.

Fatta questa premessa per cercare di focalizzare il mio messaggio, vediamo ora di tratta l’argomento del titolo.

Da subito vorrei sottolineare un fatto, già toccato nei vari articoli comparsi in questo blog, ma che comunque merita sempre di essere ribadito. Abbiamo, a riguardo delle beatitudini, due differenti versioni: una in Luca 6,20-26, in cui figurano quattro beatitudini e quattro ammonizioni; una in Matteo 5,3-12, in cui vengono enunciate otto beatitudini. 
Come dicevamo, ribadire che nei vangeli lo stesso evento possa essere esposto in maniera differente ha l’obiettivo di ricordare che non siamo di fronte ad una narrazioni di fatti storici, ma abbiamo a che fare con immagini teologiche, la cui verità trasmessa è la stessa, ma il modo in cui l’agiografo decide di comunicarla è in funzione della sua cultura, della conoscenza che ha e del piano teologico alla base del suo messaggio.

Delle due esposizioni, ho deciso di analizzare quella di Matteo. Come fatto in precedenza, per altri articoli di stampo esegetico, partiremo dal testo originale greco (prendendolo dalla solita Nestle – Aland 28° edizione), riportando anche il testo italiano della CEI 2008, ma senza farci influenzare da questo e, nel caso sia necessario, arrivare anche a ritradurre più fedelmente il testo dalla lingua originale.
Prima di procedere con la lettura del brano di Matteo (che io riporterò dal versetto 1 al versetto 12, compresi), vediamo di collocare bene il piano teologico di quest’agiografo, in modo da comprendere a pieno quello che diremo dopo. 
Poiché non sono solito reinventare la ruota, molte informazione che troverete in queste righe sono pezzi di articoli, di seminari, di libri, eccetera, derivanti dai miei studi ed approfondimenti e che ho rielaborato qui. 
Ultima cosa, poi partiamo. Cercherò anche di rendere note eventuali lezioni greche differenti, facendo quindi un po’ di filologia, senza però addentrarmi sull’eventuale modifica del significato teologico che una “versione” differente potrebbe portare. Detto tutto cominciamo con l’espletare il piano teologico di Marco.

L'evangelista Matteo scrive per una comunità di giudei che ha riconosciuto in Gesù il Messia, il Cristo, ma che è ancora attaccata alla tradizione religiosa di Mosè. L’idea che questa comunità sviluppa è che il Messia, il Cristo fosse il prosecutore della linea di Mosè e di Elia. Allora Matteo, che probabilmente era uno scriba, ossia un raffinato teologo dell'epoca, compie una grandissima opera letteraria, cercando di far comprendere alla sua comunità che Gesù non è un profeta come Mosè, ma è l'immagine del Dio invisibile, il Dio con noi.
Gesù è superiore a Mosè: non solo gli è superiore, ma si distanzia da Mosè. Per fare comprendere questo, l'evangelista compie un'abile operazione letteraria:
  • Innanzitutto divide il suo lavoro in cinque parti, esattamente quante erano le parti che componevano i libri scritti da Mosè. A quell'epoca si pensava che Mosè fosse l'autore dei primi cinque libri della Bibbia, quelli che contengono la legge, che con un termine tecnico vanno sotto il nome di Pentateuco. L'evangelista scrive la sua opera dividendola esattamente in cinque parti, tante quanti erano i libri della Bibbia scritti da Mosè.
  • Ripercorre la vita di Mosè. Sapete che Mosè deve la sua sopravvivenza ad un intervento di Dio che lo sottrasse alla strage di tutti i bambini maschi ebrei voluta dal Faraone. Conoscete tutti l'episodio del Faraone che aveva dato l'ordine di uccidere tutti i bambini ebrei. Ecco perché solo in Matteo, e non negli altri evangelisti, troviamo l'episodio della strage dei bambini di Betlemme, perché l'evangelista vuole presentare Erode come il nuovo Faraone. E come Mosè era scampato alla mano del Faraone, così Gesù scampo alla mano di Erode.
  • Poi c'è un secondo parallelismo, quello fra il monte delle beatitudini e il monte dove Dio diede a Mosè la legge, dove dettò l'alleanza col suo popolo. Gesù sale sul monte e detta la nuova alleanza con il suo popolo. Non è più la legge di Mosè, i dieci comandamenti, ma sono le otto beatitudini. La legge di Mosè, i comandamenti, stabilivano un'alleanza tra dei servi ed il loro Signore, mentre la nuova alleanza, quella che Gesù proclama attraverso le otto beatitudini, è la nuova alleanza, ma con un salto di qualità, perché è l'alleanza tra dei figli e il loro Padre. Mentre sotto la legge si esigeva l'obbedienza a Dio, con Gesù si richiede la somiglianza al Padre. Con lui la parola obbedienza non ha più diritto di cittadinanza! Il credente non è colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, ma è colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo (ecco perché andrebbero insegnare al posto dei dieci comandamenti).
  • Un altro episodio descritto nel Libro dell'Esodo sono le famose dieci piaghe d'Egitto, grazie alle quali Mosè, con l'aiuto di Dio, libera il suo popolo dalla schiavitù. Sono dieci azioni con le quali si trasmette distruzione e morte in nome di Dio. Ebbene, Matteo è l'unico fra gli evangelisti che presenta dieci azioni di Gesù in parallelo alle dieci piaghe d'Egitto, con cui egli non trasmette morte ma comunica vita, e comunica vita anche alla figlia del capo della Sinagoga. Mentre Dio nell'antica alleanza aveva ucciso il figlio del Faraone, Gesù, immagine vera e visibile di Dio, comunica vita alla figlia del capo della Sinagoga.
  • Infine, Mosè muore sul monte Nebo senza poter entrare nella terra promessa, e morendo ha bisogno di trasmettere il suo potere a un suo successore, Giosuè. Ebbene, Matteo è l'unico fra gli evangelisti che termina il suo vangelo sul monte, non con una scena di morte, ma con una scena di vita, cioè Gesù nella pienezza della sua resurrezione. Gesù non ha bisogno d’individuare il suo successore perché le ultime parole con le quali si conclude il Vangelo di Matteo sono "Ecco io sono con voi tutti i giorni".
Questa è la linea teologica del Vangelo di Matteo, linea differente da quella degli altri evangelisti, ciascuno dei quali ha il suo piano teologico.

Ora approntiamo la lettura del testo:




ΚΑΤΑ ΜΑΘΘΑΙΟN 5 (Novum Testamentum Greace 28° edizione) 

1Ἰδὼν δὲ τοὺς ὄχλους ἀνέβη εἰς τὸ ὄρος, καὶ καθίσαντος αὐτοῦ προσῆλθαν αὐτῷ οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ· 2καὶ ἀνοίξας τὸ στόμα αὐτοῦ ἐδίδασκεν αὐτοὺς λέγων·

3Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι, 
ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.
4μακάριοι οἱ πενθοῦντες, 
ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται.
5μακάριοι οἱ πραεῖς, 
ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν.
6μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην, 
ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.
7μακάριοι οἱ ἐλεήμονες, 
ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
8μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ, 
ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται.
9μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί, 
ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται.
10μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης, 
ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.

11μακάριοί ἐστε 
ὅταν ὀνειδίσωσιν ὑμᾶς καὶ διώξωσιν καὶ εἴπωσιν πᾶν πονηρὸν καθ’ ὑμῶν [ψευδόμενοι] ἕνεκεν ἐμοῦ.
12χαίρετε καὶ ἀγαλλιᾶσθε, ὅτι ὁ μισθὸς ὑμῶν πολὺς ἐν τοῖς οὐρανοῖς· οὕτως γὰρ ἐδίωξαν τοὺς προφήτας τοὺς πρὸ ὑμῶν.




SECONDO MATTEO 5 (Edizione C.E.I. 2008)


1Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:



3«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

4Beati quelli che sono nel pianto,

perché saranno consolati.

5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.




Notiamo subito che le beatitudini sono otto, e abbiamo da subito una prima chiave di lettura, perché nulla di quello che viene scritto, neanche una virgola, va escluso dall’interpretazione. Inoltre, qui notiamo la grandezza di questo letterato, se contiamo il numero delle parole greche utilizzate per le otto beatitudini, esse risultano 72, per fare ciò, ecco la ricerca del numero, l’agiografo arriva ad inserire una particella che poteva anche essere evitata grammaticalmente. Anche questo numero è un programma. Quindi basterebbe solo interpretare la chiave del numero 8 e del numero 72 per scrivere un articolo (poi li vedremo), ma c’è di più. La struttura delle beatitudini!

1) Ogni beatitudine consta di tre elementi: 
a) Proclamazione della felicità, composta da un predicato costante: μακάριοι (beati) 


b) Soggetto, (plurale con articolo), della proclamazione: οἱ (l’atricolo) è riferito ad una: 
- scelta (vv. 3.10); 
- condizione (vv. 4.5.6); 
- atteggiamento (vv. 7.8.9). 

b1) Grammaticalmente i soggetti si possono dividere secondo che abbiano la forma: 
- Nominale: v.3: οἱ πτωχοὶ (i poveri)
v.5: οἱ πραεῖς (i diseredati, poi vediamo perché traduco così)
v.7: οἱ ἐλεήμονες (coloro che attuano misericordia)
v.8: οἱ καθαροὶ (i puri)
v.9: οἱ εἰρηνοποιοί (i pacificatori)
- Participiale: v.4: οἱ πενθοῦντες (gli oppressi, anche qui vedremo)
 v.6: οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες (gli affamati e i desiderosi ardenti)
 v.10: οἱ δεδιωγμένοι (i perseguitati)

c) Motivazione della beatitudine: ὅτι ... (perché …)

2) Nel primo elemento (μακάριοι - beati), il soggetto viene rafforzato da un complemento in quattro beatitudini: 
v.3: τῷ πνεύματι (nello spirito)
v.6: τὴν δικαιοσύνην (di giustizia)
v.8: τῇ καρδίᾳ (nel cuore)
v.10: ἕνεκεν δικαιοσύνης (a causa della giustizia)

3) Il secondo elemento viene sempre seguito dalla congiunzione ὅτι (perché) e dal pronome αὐτῶν (loro) / αὐτοὶ (essi). 

4) Le beatitudini dei vv. 3b e 10b, con i verbi al presente (ἐστιν = è) e il cui termine è la βασιλεία τῶν οὐρανῶν (regno dei celi), formano un'inclusione:

Mt 5,3a | Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι,
Mt 5,3b  |-- ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.
 |
[…]  |
 |
Mt 5,10a | μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης,
Mt 5,10b |-- ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.
5) Tutte le altre beatitudini hanno il verbo al futuro: 
           v. 4: παρακληθήσονται (saranno liberati) 
v. 5: κληρονομήσουσιν (erediteranno)
v. 6: χορτασθήσονται (saranno soddisfatti)
v. 7: ἐλεηθήσονται (troveranno misericordia)
v. 8: ὄψονται (vedranno)
v. 9: κληθήσονται (saranno chiamati)
6) I soggetti delle prime quattro beatitudini hanno come iniziale di parola la lettera “π”:
v. 3: πτωχοὶ
v. 4: πενθοῦντες
v. 5: πραεῖς
v. 6: πεινῶντες

7) Corrispondenza grammaticale della motivazione delle beatitudini:

╔════5,3b Inclusione: ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.
║ 
║┌───5,4b passivo teologico: ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται
║│┌──5,5b  futuro con compl. ogg: ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν.
║││┌─5,6b passivo teologico: ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.
║│││ 
║││└─5,7b passivo teologico: ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
║│└──5,8b futuro con compl. ogg: ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται.
║└───5,9b passivo teologico: ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται.
║ 
╚════5,10b Inclusione: ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.

8) Le sei beatitudini all'interno dell'inclusione (5,4-9), si dividono a loro volta in due gruppi di tre beatitudini ciascuno (vv. 4-6; vv. 7-9), nelle quali vengono illustrati gli effetti della βασιλεία τῶν οὐρανῶν che inizia ad essere realtà con la prima beatitudine: 

a) I vv. 4-6, riguardanti una situazione negativa dell'umanità, con conseguente promessa di annullamento dei motivi di sofferenza, sono costruiti in forma di parallelismo antitetico: il secondo termine riguarda l'eliminazione del primo. 

b) I vv. 7-9 descrivono comportamenti positivi nei riguardi del prossimo e la conseguente relazione con Dio: 

la tabella seguente cerca di sintetizza i punti sopra:

SITUAZIONE DI SOFFERENZA LIBERAZIONE DA PARTE DI DIO 
5,4a οἱ πενθοῦντες                                                        5,4b παρακληθήσονται
        gli oppressi                                                                      saranno liberati
5,5a οἱ πραεῖς                                                                 5,5b κληρονομήσουσιν τὴν γῆν
        I diseredati                                                                       erediteranno la terra
5,6a οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες 5,6b χορτασθήσονται
  τὴν δικαιοσύνην
gli affamati e i desiderosi                                             saranno soddisfatti 
    ardenti di giustizia
COMPORTAMENTO COL                                            RISPOSTA DA PARTE DI DIO 
PROSSIMO
5,7a οἱ ἐλεήμονες                                                         5,7b ἐλεηθήσονται
        coloro che attuano                                                        troveranno misericordia
    misericordia
5,8a οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ                                             5,8b τὸν θεὸν θεὸν ὄψονται
        i trasparenti                                                                    vedranno Dio
5,9a οἱ εἰρηνοποιοί                                                         5,9b υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται
                   i pacificatori                                                                    saranno chiamati figlio di Dio

9) Ogni gruppo di beatitudini (vv. 4-6; 7-9), è riassunto dalla terza beatitudine: 
a) Il desiderio di δικαιοσύνην - giustizia, di cui al v. 6b, risponde alle situazioni di ingiustizia le cui vittime sono i πενθοῦντες – oppressi (vv. 4a) ed i πραεῖς - diseredati (vv. 5a): 

     ┌───       (vv. 5,4)  μακάριοι οἱ πενθοῦντες, 
            ┌───│                ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται
 │            └───      (vv. 5,5)    μακάριοι οἱ πραεῖς,
 │                               ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν.
 └─── (vv. 5,6) μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην,
                ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.

b) L'attività degli εἰρηνοποιοί - pacificatori (vv. 9a) riassume quella degli ἐλεήμονες – coloro che attuano misericordia (vv. 7a) e dei καθαροὶ τῇ καρδίᾳ - i trasparenti (vv. 8a): 

     ┌───       (vv. 5,7) μακάριοι οἱ ἐλεήμονες,
            ┌───│                ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
 │            └───      (vv. 5,8)   μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ,
 │                                ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται.
 └─── (vv. 5,9) μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί,
                ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται.

Questo quindi lo schema finale delle otto beatitudini:

|- (vv . 5,3) Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι,
| ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.

                 ┌───        (vv. 5,4)   μακάριοι οἱ πενθοῦντες, 
            ┌───│                ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται
 │            └───       (vv. 5,5)    μακάριοι οἱ πραεῖς,
 │                               ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν.
 └─── (vv. 5,6)  μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην,
                ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.


     ┌───        (vv. 5,7)  μακάριοι οἱ ἐλεήμονες,
            ┌───│                ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
 │            └───       (vv. 5,8)   μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ,
 │                                ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται.
 └─── (vv. 5,9)  μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί,
                ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται.
|
|- (vv. 5,10) μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης,
ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.


Conclusa la trattazione dello schema logico delle beatitudini, in cui si evince che la prima e l’ultima fanno da contenitore alle altre e come all’interno la terza di ogni triade sia la risposta alle altre due, adesso trattiamo più da vicino il motivo di alcuni termini utilizzati, piuttosto che quelli adoperati dalla C.E.I.:
  • Oppressi.: il termine greco utilizzato al vv. 5,4a è πενθοῦντες, propriamente vuol dire addolorarsi per una speranza personale esterna che muore. Il verbo è qui usato al participio sostantivato, quindi mostra che questa sofferenza è continua. La stessa citazione la troviamo in IS 61,2c: “per consolare tutti gli afflitti”, chi sono questi afflitti? Sono le vittime di un’oppressione politico economica. Sono tutte quelle persone che per via dei vari dominatori di Israele, stanno soffrendo, quindi sono oppressi dal gioco esterno. Questa traduzione, secondo noi, rende maggiore giustizia alla risposta da parte di Dio (vedere schema sopra) di παρακληθήσονται – lett. consolati con valenza di attività – cioè un comportamento positivo nei confronti di chi si trova in una situazione di oppressione.
  • Saranno liberati.: il termine geco utilizzato al vv. 5.4b, in risposta la vv. 5.4a, è παρακληθήσονται. Nella LXX, παρακαλέω traduce "consolare" (al PI), comportamento positivo che, rispondendo alle necessità altrui, ne annulla le cause di sofferenza. Questo verbo non è da confondere con "confortare" (cf Lc 22,43). Nel profeta Isaia, l'annuncio della consolazione coincide con la fine dell'oppressione: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio... è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità” (Is 40,1-2; cf. 27,7-9; Lv. 26,40-45). Anche nel NT la consolazione prende il connotato d’azione tendente ad eliminare la causa dell’afflizione. Da queste valutazioni preferiamo tradurre “saranno liberati” piuttosto che “saranno consolati” con accezione di conforto morale.
  • Diseredati.: nel contesto delle prime quattro beatitudini (vv. 3-6), di fronte a situazioni negative viene promessa non solo l'eliminazione della causa di sofferenza ma il trasferimento in una condizione completamente positiva. Così a quelli che decidono viver poveri, viene assicurato il Regno (5,3); a quanti sono oppressi, la libertà (5,4); agli affamati e i desiderosi ardenti la piena soddisfazione (5,6). Traducendo con miti non si avrebbe la contrapposizione positiva della seconda parte del versetto. In questo modo risulterà che costoro, i diseredati, coloro senza eredità, riceveranno in dono (erediteranno) la terra. In passato, l'incomprensione di una "terra" promessa in eredità ai "miti", ha dato luogo ad alienanti interpretazioni spiritualistiche: la concretezza materiale della terra si evaporava nell'astratta aerea condizione celeste, l'eredità nella salvezza, e, soprattutto, veniva posto l'accento sulla necessità della mitezza, intesa quasi sempre come docile ed acritica sottomissione alle autorità. Secondo la LXX la mitezza indica una condizione di non violenza causata da un fattore: a) interiore: qualità morale della persona = "mansuetudine" (cf Nm 12,3; Sal 25,9; 34,2; Zc 9,9, ecc); b) esteriore: stato sociologico negativo = "sottomissione" (cf Sal 37,11; 147,6; 149,4; Gb 24,4; Sir 10,14, ecc.). Nel NT la mitezza, impiegata quasi unicamente da Matteo, denota sia una condizione sociale subita (Mt 5,5), che acquisita. Un aiuto per comprendere se la "mitezza" alla quale è diretta la beatitudine si riferisca al carattere dell'individuo o alla sua condizione sociale, viene dalla chiara citazione del Salmo 37 (v. 11a): "I miti invece erediteranno (la) terra e godranno di una grande pace". Nel salmo, che tratta del contrasto tra proprietari terreni e diseredati, non ci si riferisce al carattere, ma alla situazione di oppressione dei miti, talmente grave che costoro sono incapaci di far valere i propri diritti e di difendersi. A questi "miti", scandalizzati della prosperità dei malfattori, il salmista descrive la sorte finale che toccherà agli uni ed agli altri: mentre per i malvagi viene sentenziato che "come fieno presto appassiranno, cadranno come erba del prato" (v. 2), "chi è benedetto da Dio possederà la terra" (v. 22), "I giusti possederanno la terra e l’abiteranno per sempre" (v. 29); "Spera nel Signore e segui la sua via: ti esalterà e tu possederai la terra..." (v. 34), perché "Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà per sempre" (v. 18). A questo punto possiamo tranquillamente avvallare la nostra traduzione di “diseredati” in senso fisico poiché si rifà a una fattore esteriore. 
Compiuta l’attività di giustificazione di alcuni lemmi tradotti in maniera differente da quanto proposto dalla C.E.I, procediamo ora con la vera e propria esegesi di questo bellissimo passo.
Le beatitudini secondo Matteo sono otto, il numero è ben preciso. Il numero otto, nella simbologia antica, rappresentava la Risurrezione, Gesù è risuscitato il primo giorno dopo il sabato: quindi l’ottavo giorno. Allora il numero otto nell’antichità rappresentava sempre la cifra che indicava una vita capace di superare la morte. L’accoglienza delle beatitudini produce una vita di una qualità tale, di un’energia tale che gli permetterà di non fare esperienza della morte. La buona notizia di Gesù è che la morte non interrompe la vita ma è quello che le permette di fiorire in una forma nuova, piena e definitiva. L’evangelista è anche andato a calcolare con quante parole comporre le beatitudini. Emerge dal testo che vuole arrivare al numero di settantadue. Sono tecniche antiche, per noi un po’ desuete, ma era lo stile della scrittura dell’epoca. Ma perché proprio settantadue termini? Perché secondo il computo che si trova nel libro della Genesi al capitolo 10, le popolazioni pagane erano calcolate in numero di settantadue. Mentre i dieci comandamenti erano per il popolo d’Israele, le beatitudini sono per tutta l’umanità.
Nella prossima “puntata” continueremo l’analisi di questo passo. 

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