Μακάριοι (Macarioi) cioè Beati: LE BEATITUDINI (rivisitazione prima parte)


Eccoci, come promesso nell’articolo in cui abbiamo trattato il termine “apostolo” – “inviato”, a parlare delle beatitudini, queste sconosciute ai più (e non solo). Dico ciò perché se chiedo a chiunque di elencarmi e dirmi i dieci comandamenti, quasi tutti, con qualche imbeccata, me li sanno dire. Se invece chiedo di elencarmi le beatitudini, non solo si fermano alla prima: “beati i poveri” e poi silenzio, ma anche non sanno dire quante sono (a volte sei, a volte sette, ma…).
Allora eccoci qui a cercare di parlarne un po’ di più e a capire cosa significhino per noi, uomini del terzo millennio, questa spettacolare prospettiva di felicità da vivere ora e non in un altro tempo o vita. Vi chiedo di mettervi comodi e armarvi di un po’ di pazienza perché l’argomento è vasto e noi, pur cercando di trattarlo con estrema sintesi, non vogliamo tralasciare nulla relativamente al cuore della spiritualità insegnata dal Maestro.
Cominciamo con il dire che questo messaggio è stato, purtroppo, traviato dalle stesse chiese per secoli, portando molti pensatori liberi a definire la religione l’”oppio dei popoli”. Io direi a ragion veduta; se prendiamo l’interpretazione, che per più di un millennio, si è data alla prima delle beatitudini : ”beati i poveri”, affermando che i poveri, coloro che vivono nella miseria più totale, devono essere felici perché nella vita dopo la morte troveranno una ricompensa enorme, capite che si sta cercando di narcotizzare la mente umana. Si sta dicendo: tu, “sfigato”, rimani nella condizione in cui sei, tanto nella vita che conta, quella nell’aldilà, sarai beato, però intanto noi facciamo i fatti nostri a modo nostro. Altro che oppio!!!
Chi ha contestato questo messaggio ha avuto ragione. Le beatitudine, per molti e molti anni, sono stati la carta magna teologica per tenere l’umanità in uno stato di limbo intellettuale. Poiché in queste righe dei vangeli vengono elencate tutti gli stati di disgrazia degli uomini, si è fatto credere che il Maestro abbia beatificato questi disgraziati dell’umanità. Utilizzando questa “anfibolia”, per usare un termine kantiano, cioè equivoci che possono portare ad un’errata interpretazione del significato, le chiese hanno placato gli animi di migliaia di fedeli. Ancora oggi questo messaggio viene divulgato con molta difficoltà, preferendo far studiare a memoria la legge di Mosè, piuttosto che questa elevazione della vita alla gioia piena qui ed ora.
Sinceramente non mi sono mai convinto che una persona come il Maestro potesse proclamare un discorso, a riguardo della felicità dell’essere umano, affermando beati gli “sfigati”, o chiedendo di diventare tali per essere felici, anche perché dove sarebbe la “bella notizia”? Tant’è che nel corso della storia chi ha potuto uscire da queste situazioni di miseria, se ne ben infischiato di queste beatitudini, evitando di rimetterci i piedi.

Fatta questa premessa per cercare di focalizzare il mio messaggio, vediamo ora di tratta l’argomento del titolo.

Da subito vorrei sottolineare un fatto, già toccato nei vari articoli comparsi in questo blog, ma che comunque merita sempre di essere ribadito. Abbiamo, a riguardo delle beatitudini, due differenti versioni: una in Luca 6,20-26, in cui figurano quattro beatitudini e quattro ammonizioni; una in Matteo 5,3-12, in cui vengono enunciate otto beatitudini. 
Come dicevamo, ribadire che nei vangeli lo stesso evento possa essere esposto in maniera differente ha l’obiettivo di ricordare che non siamo di fronte a narrazioni di fatti storici, ma abbiamo a che fare con immagini teologiche, la cui verità trasmessa è la stessa, ma il modo in cui gli agiografi decidono di comunicarla è in funzione della loro cultura, della conoscenza che hanno e del piano teologico alla base del loro messaggio.

Delle due esposizioni, ho deciso di analizzare quella di Matteo. Come fatto in precedenza, per altri articoli di stampo esegetico, partiremo dal testo originale greco (prendendolo dalla solita Nestle – Aland 28° edizione), riportando anche il testo italiano della CEI 2008, ma senza farci influenzare da questo e, nel caso sia necessario, arrivare anche a ritradurre più fedelmente il testo dalla lingua originale.
Prima di procedere con la lettura del brano di Matteo (che io riporterò dal versetto 1 al versetto 12, compresi), vediamo di collocare bene il piano teologico di quest’agiografo, in modo da comprendere a pieno quello che diremo dopo.

N.B.:  Poiché non sono solito reinventare la ruota, molte informazione che troverete in queste righe sono pezzi di articoli, di seminari, di libri, eccetera, derivanti dai miei studi ed approfondimenti e che ho rielaborato qui.
Ultima cosa, poi partiamo. Cercherò anche di rendere note eventuali lezioni greche differenti, facendo quindi un po’ di filologia, senza però addentrarmi sull’eventuale modifica del significato teologico che una “versione” differente potrebbe portare. Detto tutto cominciamo con l’espletare il piano teologico di Marco.

Cominciamo con lo specificare che l'evangelista Matteo scrive per una comunità di giudei che ha riconosciuto in Gesù il Messia atteso, il Cristo, ma che è ancora attaccata alla tradizione religiosa di Mosè. L’idea che questa comunità sviluppa è che il Messia, il Cristo fosse il prosecutore della linea di Mosè e di Elia. Allora Matteo, che probabilmente era uno scriba, ossia un raffinato teologo dell'epoca, compie una grandissima opera letteraria, cercando di far comprendere alla sua comunità che Gesù non è un profeta come Mosè, ma è superiore a colui che ha dato la Legge al Popolo di Israele. Il Maestro di Nazareth viene presentato come il portatore della parola ultima e definitiva, come il nuovo Mosè che dal monte – dove pronuncia il fatidico discorso oggi chiamato della montagna, il nuovo Sinai, proclama un nuovo senso della vita, un senso superiore a ciò che vi era prima.
Quindi ciò che l’agiografo vuol trasmettere è che Gesù è superiore a Mosè: non solo gli è superiore, ma si distanzia da Mosè. Per fare comprendere questo, l'evangelista compie un'abile operazione letteraria:

  • Innanzitutto divide il suo lavoro in cinque parti, esattamente quante erano le parti che componevano i libri scritti da Mosè. A quell'epoca si pensava che Mosè fosse l'autore dei primi cinque libri della Bibbia, quelli che contengono la legge, che con un termine tecnico vanno sotto il nome di Pentateuco. L'evangelista scrive la sua opera dividendola esattamente in cinque parti, tante quanti erano i libri della Bibbia scritti da Mosè.
  • Ripercorre la vita di Mosè. Sapete che Mosè deve la sua sopravvivenza ad un intervento di Dio che lo sottrasse alla strage di tutti i bambini maschi ebrei voluta dal Faraone. Conoscete tutti l'episodio del Faraone che aveva dato l'ordine di uccidere tutti i bambini ebrei. Ecco perché solo in Matteo, e non negli altri evangelisti, troviamo l'episodio della strage dei bambini di Betlemme, perché l'evangelista vuole presentare Erode come il nuovo Faraone. E come Mosè era scampato alla mano del Faraone, così Gesù scampo alla mano di Erode.
  • Poi c'è un secondo parallelismo, quello fra il monte del discorso, in cui la prima parte è occupata dalle beatitudini che qui commenteremo, e il monte Sinai dove Mosè ricevette la legge (sia scritta che orale). Come detto prima, in questo parallelismo è presente la finalità di Marco: mettere in contrapposizione la vecchia alleanza (le tavole della legge); con la nuova alleanza: il nuovo senso della vita proposto da Gesù. Non è più la legge di Mosè, i dieci comandamenti, ma sono le otto beatitudini. Dove sta la differenza? La differenza sta nella parola Legge! I comandamenti sono una legge e come tale stabiliscono quando ti comporti bene e quando no (come tutte le leggi), per cui rassicurano di poter sempre avere un metro di confronto per sapere se si è giusti oppure no, se si è meritevoli oppure no. Mentre il messaggio del Maestro non è una legge di natura, ne tantomeno una nuova legge di rivelazione, ma una precisa volontà, quale? La causa dell’Uomo! Ecco quello che Gesù proclama attraverso le otto beatitudini, il nuovo senso della vita che porta con se un salto di qualità; Gesù non chiede più di rivolgere i propri sforzi in funzione dell’osservare una legge che può far provare quella sensazione di purezza, della cosiddetta “grazia di Dio”, perché questo provoca inevitabilmente nell’Uomo quel sentimento di superiorità: siccome io osservo la legge sono meglio di te e posso aiutarti a ritornare nella legge! - Non è così? Pensateci bene quante volte involontariamente si giudica sulla base della Legge (quanti twit mi sovvengono di Vescovi in questa direzione). - Ma chiede di rivolgere tutto se stessi agli altri, all’amore incondizionato anche verso i propri nemici (Mt 5,44). Ecco la distanza che l’agiografo cerca di far comprende: il messaggio del Maestro non prevede obbedienza a qualcuno o qualcosa, ma prevede lo sforzo di ogni singola persona ad amare chi gli sta attorno: l’amore non può essere imposto come una legge, ma solo scelto e distribuito!
  • Un altro episodio descritto nel Libro dell'Esodo sono le famose dieci piaghe d'Egitto, grazie alle quali Mosè, con l'aiuto di Dio, libera il suo popolo dalla schiavitù. Sono dieci azioni con le quali si trasmette distruzione e morte. Ebbene, Matteo è l'unico fra gli evangelisti che presenta dieci azioni del Maestro, in parallelo alle dieci piaghe d'Egitto, con cui egli non trasmette morte, ma comunica vita, comunicandola anche alla figlia del capo della Sinagoga (ecco l’amore incondizionato anche verso i propri nemici). Ecco un’altra distanza: mentre nell’esodo viene mostrato un Dio che uccide il figlio del Faraone, nemico del Popolo Israeliano, Marco mostra il Maestro che comunica vita alla figlia del capo della Sinagoga (il quale non era propriamente favorevole a Gesù). Se ci riallacciamo a quanto detto nel punto prima, capiamo che lo scopo dello scrittore è quello non solo di dare valenza alle parole, ma di dimostrare anche coi gesti l’insegnamento del Maestro. 
  • Infine, Mosè muore sul monte Nebo senza poter entrare nella terra promessa, e morendo ha bisogno di trasmettere il suo potere a un suo successore, Giosuè. Ebbene, Matteo è l'unico fra gli evangelisti che termina il suo vangelo sul monte, non con una scena di morte, ma con una scena di vita, cioè Gesù nella pienezza della sua nuova vita. Gesù non ha bisogno d’individuare il suo successore perché le ultime parole con le quali si conclude il Vangelo di Matteo sono "Ecco io sono con voi tutti i giorni".

Questa è la linea teologica del Vangelo di Matteo, linea differente da quella degli altri evangelisti, ciascuno dei quali ha il suo piano teologico. Ciò vuol dire anche che ciò che leggeremo non è storia, ma è una lettura con scopi ben precisi. Questo potrebbe correttamente portare a dubitare del messaggio. Fortunatamente l’esegesi contemporanea (vedere i miei articoli in merito) e le nuove scoperte archeologiche permette di identificare un fulcro storico di questo personaggio.

Apro un breve capitolo che concluderemo in prossimi articoli. E’ indispensabile recuperare la figura del Maestro storico, indispensabile perché solo attraverso la reale azione di questo personaggio, unita alla lettura teologica degli scritti, possiamo comprendere la portata del Suo messaggio. Una semplice lettura dei Vangeli, che non tenga conto del Gesù storico, può risultare infruttuosa e poco edificante per l’intelletto che, come ci ricorda Guglielmo da Baskerville in: Umberto Eco - Il Nome della Rosa, è stato creato da Dio, e ciò che piace a esso non può non piacere alla ragione divina, sulla quale peraltro sappiamo solo quello che, per analogia e spesso per negazione, ne inferiamo dai procedimenti della nostra ragione.

Ora approntiamo la lettura del testo:



ΚΑΤΑ ΜΑΘΘΑΙΟN 5 (Novum Testamentum Greace 28° edizione) 

1Ἰδὼν δὲ τοὺς ὄχλους ἀνέβη εἰς τὸ ὄρος, καὶ καθίσαντος αὐτοῦ προσῆλθαν αὐτῷ οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ· 2καὶ ἀνοίξας τὸ στόμα αὐτοῦ ἐδίδασκεν αὐτοὺς λέγων·

3Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι, 
ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.
4μακάριοι οἱ πενθοῦντες, 
ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται.
5μακάριοι οἱ πραεῖς, 
ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν.
6μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην, 
ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.
7μακάριοι οἱ ἐλεήμονες, 
ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
8μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ, 
ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται.
9μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί, 
ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται.
10μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης, 
ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.

11μακάριοί ἐστε 
ὅταν ὀνειδίσωσιν ὑμᾶς καὶ διώξωσιν καὶ εἴπωσιν πᾶν πονηρὸν καθ’ ὑμῶν [ψευδόμενοι] ἕνεκεν ἐμοῦ.
12χαίρετε καὶ ἀγαλλιᾶσθε, ὅτι ὁ μισθὸς ὑμῶν πολὺς ἐν τοῖς οὐρανοῖς· οὕτως γὰρ ἐδίωξαν τοὺς προφήτας τοὺς πρὸ ὑμῶν.




SECONDO MATTEO 5 (Edizione C.E.I. 2008)

1Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

3«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.



Notiamo subito che le beatitudini sono otto, e abbiamo da subito una prima chiave di lettura, perché nulla di quello che viene scritto, neanche una virgola, va escluso dall’interpretazione (per questo vanno letti in chiave teologica e non storica). Qui, inoltre, è possibile notare quanto asserivo primo: l’agiografo è un letterato colto: Se proviamo a contare il numero delle parole greche utilizzate per elencare le otto beatitudini risultano 72, per fare ciò, ecco la ricerca del numero, l’agiografo arriva ad inserire una particella che poteva anche essere evitata grammaticalmente. Anche il numero 72 è un programma nella simbologia dei numeri, ecco perché tutto ha un significato teologico. Quindi basterebbe solo interpretare la chiave del numero 8 e del numero 72 per scrivere un articolo (poi li vedremo), ma c’è di più. La struttura delle beatitudini!

1) Ogni beatitudine consta di tre elementi: 
  • Proclamazione della felicità, composta da un predicato costante: μακάριοι (beati) 
  • Soggetto, (plurale con articolo), della proclamazione: οἱ (l’articolo) è riferito ad una: 
    • scelta (vv. 3.10); 
    • condizione (vv. 4.5.6); 
    • atteggiamento (vv. 7.8.9). 
  • Grammaticalmente i soggetti si possono dividere secondo che abbiano la forma: 
    • Nominale:  
      • v.3:  οἱ πτωχοὶ (i poveri)
      • v.5:  οἱ πραεῖς (i diseredati, poi vediamo perché traduco così)
      • v.7:  οἱ ἐλεήμονες (coloro che attuano misericordia)
      • v.8:  οἱ καθαροὶ (i puri)
      • v.9:  οἱ εἰρηνοποιοί (i pacificatori)
    • Participiale: 
      • v.4:  οἱ πενθοῦντες (gli oppressi, anche qui vedremo)
      • v.6:  οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες (gli affamati e i desiderosi ardenti)
      • v.10: οἱ δεδιωγμένοι (i perseguitati)
  • c) Motivazione della beatitudine: ὅτι ... (perché …)

2) Nel primo elemento (μακάριοι - beati), il soggetto viene rafforzato da un complemento in quattro beatitudini: 
  • v.3:   τῷ πνεύματι (nello spirito)
  • v.6:   τὴν δικαιοσύνην (di giustizia)
  • v.8:   τῇ καρδίᾳ (nel cuore)
  • v.10: ἕνεκεν δικαιοσύνης (a causa della giustizia)

3) Il secondo elemento viene sempre seguito dalla congiunzione ὅτι (perché) e dal pronome αὐτῶν (loro) / αὐτοὶ (essi). 

4) Le beatitudini dei vv. 3b e 10b, con i verbi al presente (ἐστιν = è) e il cui termine è la βασιλεία τῶν οὐρανῶν (regno dei celi), formano un'inclusione:

Mt 5,3a   |     Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι,
Mt 5,3b   |--  ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.
   |
[…]    |
   |
Mt 5,10a |     μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης,
Mt 5,10b |--  ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.

5) Tutte le altre beatitudini hanno il verbo al futuro: 
  • v. 4:  παρακληθήσονται (saranno liberati) 
  • v. 5:  κληρονομήσουσιν (erediteranno)
  • v. 6:  χορτασθήσονται (saranno soddisfatti)
  • v. 7:  ἐλεηθήσονται (troveranno misericordia)
  • v. 8:  ὄψονται (vedranno)
  • v. 9:  κληθήσονται (saranno chiamati)

6) I soggetti delle prime quattro beatitudini hanno come iniziale di parola la lettera “π”:
  • v. 3:  πτωχοὶ
  • v. 4:  πενθοῦντες
  • v. 5:  πραεῖς
  • v. 6:  πεινῶντες

7) Corrispondenza grammaticale della motivazione delle beatitudini:

╔════5,3b  Inclusione:  ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.
║ 
║┌───5,4b  passivo teologico:  ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται
║│┌──5,5b   futuro con compl. ogg:  ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν.
║││┌─5,6b  passivo teologico:  ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.
║│││ 
║││└─5,7b  passivo teologico:   ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
║│└──5,8b  futuro con compl. ogg:  ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται.
║└───5,9b  passivo teologico:  ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται.
║ 
╚════5,10b  Inclusione:  ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.

8) Le sei beatitudini all'interno dell'inclusione (5,4-9), si dividono a loro volta in due gruppi di tre beatitudini ciascuno (vv. 4-6; vv. 7-9), nelle quali vengono illustrati gli effetti della βασιλεία τῶν οὐρανῶν che inizia ad essere realtà con la prima beatitudine: 
  • I vv. 4-6, riguardanti una situazione negativa dell'umanità, con conseguente promessa di annullamento dei motivi di sofferenza, sono costruiti in forma di parallelismo antitetico: il secondo termine riguarda l'eliminazione del primo. 
  • I vv. 7-9 descrivono comportamenti positivi nei riguardi del prossimo e la conseguente relazione con Dio:


la tabella seguente cerca di sintetizza i punti sopra:

SITUAZIONE DI SOFFERENZA LIBERAZIONE DA PARTE DI DIO 
5,4a οἱ πενθοῦντες 5,4b παρακληθήσονται
gli oppressi saranno liberati   
5,5a οἱ πραεῖς 5,5b κληρονομήσουσιν τὴν γῆν
I diseredati erediteranno la terra
5,6a οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες 5,6b χορτασθήσονται
τὴν δικαιοσύνην
gli affamati e i desiderosi saranno soddisfatti 
ardenti di giustizia

COMPORTAMENTO COL RISPOSTA DA PARTE DI DIO 
PROSSIMO
5,7a οἱ ἐλεήμονες 5,7b ἐλεηθήσονται
coloro che attuano troveranno misericordia misericordia
5,8a οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ 5,8b τὸν θεὸν θεὸν ὄψονται
i trasparenti vedranno Dio
5,9a οἱ εἰρηνοποιοί                                                   5,9b υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται
i pacificatori saranno chiamati figli di Dio

9) Ogni gruppo di beatitudini (vv. 4-6; 7-9), è riassunto dalla terza beatitudine: 
  • Il desiderio di δικαιοσύνην - giustizia, di cui al v. 6b, risponde alle situazioni di ingiustizia le cui vittime sono i πενθοῦντες – oppressi (vv. 4a) ed i πραεῖς - diseredati (vv. 5a): 

                ┌─── (vv. 5,4) μακάριοι οἱ πενθοῦντες, 
 ┌───│                    ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται
 │           └─── (vv. 5,5)     μακάριοι οἱ πραεῖς,
 │                                 ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν.
 └─── (vv. 5,6) μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην,
                   ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.

  • L'attività degli εἰρηνοποιοί - pacificatori (vv. 9a) riassume quella degli ἐλεήμονες – coloro che attuano misericordia (vv. 7a) e dei καθαροὶ τῇ καρδίᾳ - i trasparenti (vv. 8a): 

          ┌─── (vv. 5,7)  μακάριοι οἱ ἐλεήμονες,
 ┌───│                    ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
 │            └─── (vv. 5,8)    μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ,
 │                                     ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται.
 └─── (vv. 5,9)  μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί,
                    ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται.

Questo quindi lo schema finale delle otto beatitudini:

|-(vv . 5,3) Μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι,
ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.

                 ┌─── (vv. 5,4) μακάριοι οἱ πενθοῦντες, 
 ┌───│                    ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται
 │            └───  (vv. 5,5) μακάριοι οἱ πραεῖς,
 │                                   ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν.
 └─── (vv. 5,6) μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην,
                   ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.


                 ┌─── (vv. 5,7) μακάριοι οἱ ἐλεήμονες,
 ┌───│                  ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται.
 │            └─── (vv. 5,8) μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ,
 │                                     ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται.
 └─── (vv. 5,9) μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί,
                    ὅτι αὐτοὶ υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται.
|
|-(vv. 5,10) μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης,
  ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν.

Conclusa la trattazione dello schema logico delle beatitudini, in cui si evince che la prima e l’ultima fanno da contenitore alle altre e come all’interno la terza di ogni triade sia la risposta alle altre due, adesso trattiamo più da vicino il motivo di alcuni termini utilizzati, piuttosto che quelli adoperati dalla C.E.I.:

  • Oppressi.: il termine greco utilizzato al vv. 5,4a è πενθοῦντες, propriamente vuol dire addolorarsi per una speranza personale esterna che muore. Il verbo è qui usato al participio sostantivato, quindi mostra che questa sofferenza è continua. La stessa citazione la troviamo in IS 61,2c: “per consolare tutti gli afflitti”, chi sono questi afflitti? Sono le vittime di un’oppressione politico economica. Sono tutte quelle persone che per via dei vari dominatori di Israele, stanno soffrendo, quindi sono oppressi dal gioco esterno. Questa traduzione, secondo noi, rende maggiore giustizia alla risposta da parte di Dio (vedere schema sopra) di παρακληθήσονται – lett. consolati con valenza di attività – cioè un comportamento positivo nei confronti di chi si trova in una situazione di oppressione.
  • Saranno liberati.: il termine geco utilizzato al vv. 5.4b, in risposta al vv. 5.4a, è παρακληθήσονται. Nella LXX, παρακαλέω traduce "consolare" (al PI), comportamento positivo che, rispondendo alle necessità altrui, ne annulla le cause di sofferenza. Questo verbo non è da confondere con "confortare" (cf Lc 22,43). Nel profeta Isaia, l'annuncio della consolazione coincide con la fine dell'oppressione: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio... è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità” (Is 40,1-2; cf. 27,7-9; Lv. 26,40-45). Anche nel NT la consolazione prende il connotato d’azione tendente ad eliminare la causa dell’afflizione. Da queste valutazioni preferiamo tradurre “saranno liberati” piuttosto che “saranno consolati” con accezione di conforto morale.
  • Diseredati.: nel contesto delle prime quattro beatitudini (vv. 3-6), di fronte a situazioni negative viene promessa non solo l'eliminazione della causa di sofferenza ma il trasferimento in una condizione completamente positiva. Così a quelli che decidono viver poveri, viene assicurato il Regno (5,3); a quanti sono oppressi, la libertà (5,4); agli affamati e i desiderosi ardenti la piena soddisfazione (5,6). Traducendo con miti non si avrebbe la contrapposizione positiva della seconda parte del versetto. In questo modo risulterà che costoro, i diseredati, coloro senza eredità, riceveranno in dono (erediteranno) la terra. In passato, l'incomprensione di una "terra" promessa in eredità ai "miti", ha dato luogo ad alienanti interpretazioni spiritualistiche: la concretezza materiale della terra si evaporava nell'astratta aerea condizione celeste, l'eredità nella salvezza, e, soprattutto, veniva posto l'accento sulla necessità della mitezza, intesa quasi sempre come docile ed acritica sottomissione alle autorità. Secondo la LXX la mitezza indica una condizione di non violenza causata da un fattore: a) interiore: qualità morale della persona = "mansuetudine" (cf Nm 12,3; Sal   25,9; 34,2; Zc 9,9, ecc); b) esteriore: stato sociologico negativo = "sottomissione" (cf Sal 37,11; 147,6;   149,4; Gb 24,4; Sir 10,14, ecc.). Nel NT la mitezza, impiegata quasi unicamente da Matteo, denota sia una condizione  sociale subita (Mt 5,5), che acquisita. Un aiuto per comprendere se la "mitezza" alla  quale è diretta la beatitudine si riferisca al carattere dell'individuo o alla sua  condizione sociale, viene dalla chiara citazione del Salmo 37 (v. 11a): "I miti invece erediteranno (la) terra e godranno di una grande pace". Nel salmo, che tratta del contrasto tra proprietari terreni e diseredati, non ci si  riferisce al carattere, ma alla situazione di oppressione dei miti, talmente grave che  costoro sono incapaci di far valere i propri diritti e di difendersi. A questi "miti",  scandalizzati della prosperità dei malfattori, il salmista descrive la sorte finale che  toccherà agli uni ed agli altri: mentre per i malvagi viene sentenziato che "come  fieno presto appassiranno, cadranno come erba del prato" (v. 2), "chi è benedetto  da Dio possederà la terra" (v. 22), "I giusti possederanno la terra e l’abiteranno per  sempre" (v. 29); "Spera nel Signore e segui la sua via: ti esalterà e tu possederai la  terra..." (v. 34), perché "Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà  per sempre" (v. 18). A questo punto possiamo tranquillamente avvallare la nostra  traduzione di “diseredati” in senso fisico poiché si rifà a una fattore esteriore. 

Compiuta l’attività di giustificazione di alcuni lemmi tradotti in maniera differente da quanto proposto dalla C.E.I, procediamo ora con la vera e propria esegesi di questo bellissimo passo.
Le beatitudini secondo Matteo sono otto, il numero è ben preciso. Il numero otto, nella simbologia antica, rappresentava la Risurrezione, Gesù è risuscitato il primo giorno dopo il sabato: quindi l’ottavo giorno. Allora il numero otto nell’antichità rappresentava sempre la cifra che indicava una vita capace di superare la morte. L’accoglienza delle beatitudini produce una vita di una qualità tale, di un’energia tale che gli permetterà di non fare esperienza della morte. La buona notizia di Gesù è che la morte non interrompe la vita ma è quello che le permette di fiorire in una forma nuova, piena e definitiva. L’evangelista è anche andato a calcolare con quante parole comporre le beatitudini. Emerge dal testo che vuole arrivare al numero di settantadue. Sono tecniche antiche, per noi un po’ desuete, ma era lo stile della scrittura dell’epoca. Ma perché proprio settantadue termini? Perché secondo il computo che si trova nel libro della Genesi al capitolo 10, le popolazioni pagane erano calcolate in numero di settantadue. Mentre i dieci comandamenti erano per il popolo d’Israele, le beatitudini sono per tutta l’umanità.
L’esegesi che andiamo a effettuare è di tipo “passo a passo”, ma senza entrare troppo nei tecnicismi. 

N.B.:  Avevo promesso che se ci fossero state note filologiche le avrei accennate. Poiché non ci sono note filologiche rilevanti, ho anche deciso di non riportare le piccole differenze presenti..

Introduco subito un aspetto teologico di fondamentale importanza per comprendere a pieno questo messaggio: si legge in Giovanni 1,18 “Dio nessuno lo ha mai visto”.

N.B.: Vorrei precisare un aspetto importante: tutti gli agiografi cercano di mettere a confronto il Dio rivelato a Israele, tramite il Vecchio Testamento, e il Dio rivelato da Gesù. Non voglio entrare qui in una diatriba storico – esegetica a riguardo se il Maestro abbia usato oppure no le parole Dio, Padre eccetera. Ciò che conta è comprendere il significato del brano che è di portata universale a prescindere dal credo. Per fare ciò bisogna utilizzare il linguaggio dei Vangeli.
Personalmente sono agnostico (penso che si sia capito) e la rivisitazione di questo è anche in questa direzione. Come mio primo lavoro post studi esegetici era ancora molto imbevuto di certa terminologia e di copiature fatte dalle dispense del mio professore. Ho cercato di rendere il tutto più personale e più coerente con le mie idee, ma in alcuni casi il linguaggio è quello esposto nei Vangeli. Ognuno deve prendere, sul discorso di Dio, ciò che si sente dentro, mentre - credo - a riguardo del messaggio intrinseco, cioè la causa dell’Uomo, questo sia da recepire nel suo splendore perché oltre il credere o meno.

Quest’affermazione è forte, un giudizio che mette in crisi una tradizione millenaria. Pensate agli scribi del I-II secolo, conoscitori del Vecchio Testamento, avrebbero potuto obiettare a Giovanni come faccia lui a spere questo, come possa usare un’espressione del genere, ad essere così categorico. 
Si potrebbe far notare a questo evangelista che vi è una lunga lista di personaggi che possono vantare il contrario, che possono dire di essere entrati in diretto contatto con il Dio vivente: Abramo, Mosè, Elia, eccetera. Questi chi sono? 

Ma Giovanni non è d’accordo: “Dio nessuno lo ha mai visto”: l’evangelista sembra voler parzializzare le esperienze fino a quel tempo descritte, infatti il versetto prosegue con: “il Figlio unigenito, […], è lui che lo ha rivelato”. Ecco la convinzione dell’agiografo: Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Questo è molto importante anche per chi non crede in un essere superiore. Perché è importante anche per chi non crede? Perché può essere un punto di partenza sul quale riflettere, sul quale effettuare paragoni, un punto che non proviene da strutture millenarie modellatrici di questo Dio, in base a tornaconti personali. Ma proviene da una persona, da un soggetto che oggi può essere storicamente identificabile e che ha fatto certamente qualcosa che all’epoca non è “piaciuto” alla classe sacerdotale e politica. 
Lo, scrittore, pertanto, chiede uno sforzo mentale non indifferente al lettore. Esso chiede di mettere da parte ogni idea riguardante a questo essere superiore, concentrando l’attenzione sul Maestro, sulla sua vita, sul suo insegnamento. Questo per arrivare a effettuare un confronto tra ciò che si suppone conoscere di questo Dio e quanto il Maestro ha mostrato. Se quanto estraggo dalle opere di Gesù, dal suo messaggio, coincide con l’immagine che ho di Dio, quella si mantiene, ma se si distanzia, o peggio se ne allontana e/o contraddice, quell’immagine che ho va eliminata. Il versetto Gv. 1,18 ha questa funzione teologica, di centrare la nostra attenzione sull’immagine che il Maestro da di Dio.
E’ importante questo punto prima di iniziare ogni esame dei brani evangelici, ci permette un approccio libero da stereotipi che in più di duemila anni, soprattutto le Chiese, hanno divulgato nel mondo.

N.B.:  scusate per tutti questi Nota Bene, ma rendono la lettura meno “mattone”! Ciò che spesso di dimentica nel cristianesimo è chi è realmente questo Cristo. Con i concili ellenistici (da Nicea in avanti) la Chiesa ha quasi scordato chi sia questa persona storicamente esistita e in tutto uguale a qualsiasi di noi. Con tutto una serie di termini mutuati dalla filosofica di Platone, Aristotele e Plotino, si è cercato di connotare questo soggetto in una aurea che oggi, a mio modesto parere, non ha più senso. All’uomo d’oggi sentire parlare di ipostasi, sostanza, consustanzialità, transustanziazione, eccetera, non interessa. Leggere il catechismo di oggi sembra di leggere i miei libri di filosofia (la metafisica di Aristotele). E’, per me, buffo pensare che invece di scoprire chi realmente fosse questo Maestro, per seguirlo e per comprendere il suo messaggio, si sia sprecato risorse intellettuali per spiegare ciò che lui non ha mai detto! Ma noi uomini normalmente siamo così, pur di affermare di avere la Verità, siamo disposti a creare falsi grattacieli!
Questa è anche la risposta che Gesù darà a Filippo quando questi gli chiederà “mostraci il Padre e ci basta”. Gesù risponderà: “chi ha visto me, ha visto il Padre”. Quindi è soltanto dalla conoscenza di Gesù che si comprende e si sperimenta chi è questo Dio. 

Ma la domanda sorge spontanea: chi è questo Dio mostrato dal Maestro? Ciò che viene mostrato dal Maestro e raccontato nei Vangeli, è un Dio talmente diverso da quanto proposto dalle religioni, che saranno proprio i capi religiosi i massimi avversari di questo messaggio e non esiteranno a sbarazzarsi di chi lo propose, al fine di difendere l’immagine da loro perpetrata e i loro interessi. Ed è per di rimanere fedele a questa immagine nuova  che Gesù non ha esitato ad affrontare la morte.
Questa immagine, che ha fatto e fa paura, è quella di un Dio che non chiede agli uomini di servirlo o di osannarlo, ma è Lui al servizio degli uomini. Dio non chiede agli uomini di innalzarsi per raggiungerlo ma è Lui che si abbassa per raggiungerli e mettersi al loro servizio. In tutte le religioni s’insegna che l’uomo deve purificarsi per poter accogliere il Signore. Questo fa sì che tante persone, per la loro situazione, per la loro condotta, per la loro condizione di vita religiosa, morale, sessuale si sentano in una situazione di peccato, di colpa che non permette loro di avvicinarsi al Signore. La religione dice a queste persone: voi siete impure, siete nel peccato. Ma come faccio a uscire da questa situazione? E qui entra in gioco la purificazione, ci vuole la contrizione, i pentimenti e tutta quella serie di atteggiamenti che centrano l’uomo sulla propria piccolezza, incapacità, distanza dall’Amore di Dio. 

N.B.:   Qui potrei portarvi una serie di twit sull’insapienza dell’uomo perché lontano da Dio e dalla sua Legge. Ci sono       Vescovi (pastori?) che invece di insegnare l’amore pensano solo a indicarsi come guida, a mostrarsi come quei mediatori che il Maestro ha attaccato e definito sciacalli! Insomma lontani anni luce da ciò che dovrebbero insegnare alle persone. 

Il Maestro cambia proprio queste regole: non è vero che l’uomo deve purificarsi per avvicinarsi a questo Dio, per poterlo sentire vicino. Per il Maestro è l’accogliere questo Dio che rende puro l’uomo. Nella religione l’amore di Dio bisogna meritarlo attraverso i propri sforzi, con Gesù quest’amore non va meritato ma accolto. Dio non si concede come un premio ma come un regalo. Dio non esclude nessuno dall’azione del suo amore, esso continuamente perdona, egli non assorbe le energie dell’uomo ma le potenzia, non è distante dagli uomini, relegato in qualche tempio. È un Dio che chiede di essere accolto dall’individuo per fondersi con lui, per essere una cosa sola con lui. Questa è la buona notizia del Maestro! Ecco qui la vera grande novità di Gesù, la sovversione del rapporto Uomo-Dio, rivoluzione che allora, come oggi, viene messa sotto chiave.

N.B.:  Eccoci qui di nuovo! Ma certi passi bisogna per forza interromperli, cercando di inserire qualche ulteriore spunto di riflessione. Giustamente gli atei potrebbero obiettare dove si trova il mio agnosticismo e poi utilizzo il termine Dio in maniera così elevata. Come vi dicevo il linguaggio che utilizzo è molto legato al Vangelo e alla religione perché bisogna ricordare che Gesù era un ebreo, per cui era fortemente credente nel Dio dei Padri. A prescindere dal fatto che sia oppure no “Figlio di Dio” com’è stato inteso nel corso dei secoli, l’analisi storica dei testi evangelici e delle lettere paoline mostrano come Gesù fosse fortemente legato a questo Dio Vivo. E’ questo Dio che lui vuole mostrare e per il quale è disposto a morire; è a questo Dio che Giovanni, in 1,18, si rifà. Per cui nel trattare il Messaggio di questo Rabbi è difficile non utilizzare determinata terminologia. Bisogna comunque sottolineare un particolare di cui noi terremo conto. Pur essendo storicamente affermato che Gesù credeva nel Dio dei Padri, è particolarmente strano che ci siano passi, considerati altrettanto storici – da un punto di vista della critica letteraria moderna, disseminati nei quattro vangeli, in cui lo stesso Gesù omette di menzionare questo Dio. Per cui risulta difficile parlare del Cristo senza menzionare Dio, ma è anche vero che lo stesso Maestro parlò senza menzionare Dio. So che l’argomento è complesso e ci vorrebbe un’enciclopedia per parlarne (ho tento anche di affrontarlo brevemente nell’articolo “You Have Matrix”, presente su questo blog), ma io la butto lì: se questo Rabbi, intriso della cultura Ebraica dell’epoca, omette in casi chiave di parlare di questo Dio, probabilmente ciò che conta non è il credere, ma la nostra capacità di amare gli altri. Ecco a mio avviso l’immagine che Gesù vuol trasmettere di questo Dio! Non un ente che chiede per se, ma un ente che chiede ad ognuno di distribuire alla comunità ciò che ha. Riflettiamo: se questo è disposto a servire l’Uomo (Gesù dovrebbe rappresentare questo), chi è l’Uomo per servire Lui? Se Lui mette al primo posto l’Uomo (Gesù ogni volta che può rompe con la Legge per il bene dell’Uomo), chi è l’Uomo per mettere al primo posto Lui? Non dovrà forse anche l’Uomo fare altrettanto?
Quasi certamente metà di voi li ho persi con queste affermazioni, ma lo scopo di chi indaga è indagare e non cercare consensi. Io sono arrivato alla conclusione che il sapere se esiste un ente infinitamente più grande di me non è indispensabile, ma è importante comprendere che il fine della vita (che è amore) è donare amore gratuitamente ad ogni soggetto. Questa è la regola che trascende ogni credo e porta alla beatitudine, alla vita nuova.

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