Storia dei Vangeli [4° parte (b)]


Nella prima parte di quest’ultimo capitolo relativo alla storia dei Vangeli abbiamo visto come ai tempi di Westcott ed Hort (fine XIX secolo) furono individuate quattro categorie testuali: neutrale, alessandrina, bizantina-koinè (che Westcott ed Hort definivano siriaca in quanto nata in Siria per opera della recensione di Luciano di Antiochia) ed occidentale. Le categorie furono ridotte in seguito a tre perché la famiglia neutrale e quella alessandrina vennero raggruppate in un’unica famiglia testuale (quella neutrale-alessandrina che abbiamo descritto sopra) ma nel XX secolo la scoperta del testo alessandrino-cesariense, tuttora oggetto di studio, ha riportato nuovamente a quattro le categorie di base del modello.

Catalogare in questo modo i manoscritti del Nuovo Testamento – un lavoro evidentemente colossale, Westcott ed Hort hanno impiegato quasi trent’anni di studio prima di pubblicare le loro conclusioni – è utile in quanto consente di avanzare ipotesi su quello che dovevano contenere davvero i testi originari e selezionare i manoscritti più affidabili sui quali costruire il testo depurato dalle interpolazioni e dalle modifiche. Secondo Westcott ed Hort in base alle analisi esterne e alla teoria delle recensioni valgono le segguenti proposizioni:

  • Principio d’inferiorità del testo bizantino (K) – Una lezione che si trova solo nella famiglia di documenti classificabili come bizantino-koinè (K) molto probabilmente deve essere scartata in quanto frutto di aggiunte successive e di un lavoro di redazione; siamo nell’area gialla del sottostante diagramma di Figura 1. Quella bizantina difatti è una famiglia testuale sorta alla fine del III secolo e contenente varie armonizzazioni che non hanno eliminato il materiale spurio noto sino a quel momento, anzi ne hanno aggiunto dell’altro, sebbene numericamente il 90% dei manoscritti rientri (con molte varianti e sotto classi) in questa categoria.

  • Principio di autorità del testo neutro (H) – Una lezione presente sia nel testo occidentale che nell’alessandrino-cesariense (siamo nell’area verde del diagramma di Figura 1) non dev’essere ammessa senza la garanzia della sua presenza anche nel testo “neutro” H, considerato più affidabile. In questo modo si depurano dal testo occidentale, certamente antico, gli influssi mutuati dalla tradizione esterna ai testi originari. Per esempio Giovanni 7:53-8:11, l’episodio dell’adultera, è compreso in alcuni manoscritti occidentali come quelli della vetus latina ma non in quelli neutrali (Aleph, B, P66, P75, ecc…) quindi in base a questo criterio sarebbe da scartare e considerare non autentico. Questo significa che probabilmente non era presente nel Vangelo di Giovanni originario, sebbene possa essere considerato divinamente ispirato e patrimonio della tradizione dei primi cristiani (ma questa è evidentemente un’argomentazione teologica e non scientifica). La variante Gesù Barabba in Mt 27:16-17 è attestata solo da manoscritti cesariensi (in part. da Q) e non da quelli della classe neutrale quindi in teoria dovrebbe essere scartata considerando i principi esterni.

  • Principio di controllo del testo neutro (H) – Una lezione che si trova solo nel testo “neutro” H (area grigia del diagramma) ma non si riscontra nel testo “occidentale” è da considerarsi dubbia e probabilmente spuria. Quest’ultima categoria testuale, come detto, aveva infatti la tendenza a inglobare tutto quanto di più leggendario circolava. Perché allora avrebbe trascurato un elemento riscontrabile nel testo “neutro”? L’unica spiegazione è che queste lezioni siano presenti solo nel testo neutro e di conseguenza non erano presenti nei manoscritti più antichi e in particolare negli originali altrimenti anche il testo occidentale le avrebbe con ogni probabilità recepite. Il testo neutro difatti è, secondo W.H., un testo molto affidabile, ma non può essere considerato la verità assoluta e con ogni probabilità non è al 100% fedele agli originali anche se la sua percentuale di fedeltà e affidabilità è considerata superiore agli altri. Questo principio afferma in sostanza che sono autentiche le lezioni provenienti dall’and logico del testo H con il testo occidentale e quindi una lezione presente nel solo testo H non dev’essere accolta senza la controprova della sua presenza nel testo occidentale.





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Figura  1 – Il modello di W.-H. nel quale è evidenziata – non senza
polemiche e contro analisi – la qualità del testo neutro “H”


Adesso trattiamo i criteri interni che riguardano la valutazione dell’importanza e attendibilità di una variante attestata da un singolo manoscritto sulla base di principi quali:

  • La difficoltà della variante (o lezione difficile: difficilior lectio potior): in genere una variante difficile viene considerata autentica (a meno che non sia singola o molto rara e contraddica il testo in altri punti: in questo caso molto probabilmente è un palese errore del copista) quando va contro il pensiero e la dottrina (in questo caso cristiana) dello scriba. Come abbiamo detto relativamente alla mancanza di Marco 16:8-20 si ritiene che nel testo originario mancasse questo passo (anche se la totalità dei manoscritti riporta invece il finale oggi noto) perché risulta molto difficile pensare che un copista, essendone a conoscenza, lo abbia tagliato di proposito o per errore e chi aveva commissionato il manoscritto lo abbia accettato senza problemi. Viceversa la variante difficile di Gesù Barabba in Matteo 27:20-21 da un lato potrebbe essere vera in quanto è tipicamente difficile (è arduo immaginare che uno scriba abbia aggiunto di propria iniziativa a Barabba il nome di Gesù se l’autore del manoscritto sorgente non lo aveva effettivamente scritto) tuttavia non è trascurabile neppure l’argomentazione interna al testo secondo cui nei vv. successivi – così come negli altri tre Vangeli – non si parla più di Gesù Barabba.

  • La lezione breve (lectio brevior preferenda): in genere i copisti tendevano sempre ad aumentare il materiale che trascrivevano (per spiegare meglio, elaborare il testo, nei casi più gravi armonizzarlo – in base al descritto processo di conflazione – con altri passi paralleli). Così se due manoscritti presentano due varianti, molto probabilmente quella più corta e concisa è anche quella che offre le maggiori probabilità di non essere una interpolazione e il testo che la riporta è considerato più attendibile. Nell’introduzione del Merk-Barbaglio è scritto: “La lezione più breve per sé è quella più probabile. Perciò sono giustamente rifiutate le lezioni più ricche e conformi a luoghi simili, che presero piede in tutti i libri, specialmente nei Vangeli, già nel II secolo. Tuttavia ci si domanda se sia necessario ammettere un influsso armonizzatore o un testo amplificato ovunque viene stabilito da alcuni editori. Alcune volte ciò ci è sembrato incerto e non sufficientemente provato. Westcott-Hort e B. Weiss, fedeli alla regola della doverosa preferenza da accordare alla lezione più breve, non solo seguono il testo più conciso del Codice Vaticano, ma anche recepiscono il più delle volte il Codice di Beza (D), quando presenta una lezione più breve, contro il Codice Vaticano e quasi tutti gli altri. Chiamano tali testi lezioni occidentali non interpolate. In questo ci sembra che abbiano spesso deviato dalla retta via. Infatti il principio della lezione più breve, benché in sé considerato appaia sano, quando viene applicato ai nostri codici, ammette molte eccezioni, anzi non pochi copisti sono più proclivi all'omissione di testi che non alla loro aggiunta. Basta guardare al codice Sinaitico, corrotto da così numerose omissioni che la sua testimonianza a questo proposito è quasi del tutto priva di ogni autorità, se non trova conferma in altre testimonianze; né diversa valutazione si deve dare circa i codici del secolo III recentemente rinvenuti, lo stesso codice di Beza e i codici affini. Chi infatti esamina l'apparato di una qualche edizione maior vedrà facilmente quanto spesso il codice di Beza, per altro ampliato da tante aggiunte, insieme con pochi altri, soprattutto con la vetus latina e la siriaca, presenti un testo più breve, giudicato però erroneo da tutti gli editori. E in linea generale la regola della preferenza da accordare al testo più breve ammette eccezioni, quando le parole omesse in parte sono simili oppure uguali a quelle che precedono o seguono. In questo caso, se motivazioni gravi non suggeriscono altra ipotesi, si tratta di aplografia. Né sempre in questa materia si devono sollevare interrogativi sottili circa i motivi che avrebbero mosso il copista a omettere il testo, quando spesso nessun'altra ragione interviene se non l'inavvertenza o l'affaticamento.

  • Le lezioni che meglio incontrano lo stile dell’autore sono da considerarsi autentiche. Per esempio il brano di Giovanni 8:1-11 sembra più vicino allo stile letterario di Luca che non a quello di Giovanni. Analogamente la finale di Marco non sembra coerente con il resto dello stile di quel Vangelo.

  • La lezione discorde, cioè che si differenzia dai passi analoghi di altri manoscritti, a meno che non si prove che è un palese errore o che è stata volutamente posta in essere per motivi particolari, offre in genere  buone garanzie di essere autentica cioè copiata fedelmente da una sorgente (a meno che non contraddica il testo altrove, altrimenti è un errore). Perché un manoscritto devierebbe da quanto attestato in tanti altri documenti? La motivazione che si porta è che la sorgente dalla quale il testo veniva copiato riportava effettivamente quella variante. In questo caso essendo la lezione originale essa non può certo essere nata per imitazione o armonizzazione del contenuto di altri manoscritti. La variante di Gesù Barabba può essere considerata anche una lezione discorde visto che è attestata da pochi manoscritti.

  • Mai sottovalutare la possibilità di errori tecnici nel testo anche se questi sembrano incredibili. Gli scribi lavoravano per ore e ore ed è facile immaginare che fossero stanchi e affaticassero molto la vista. Nel codice 109 ad esempio la genealogia di Luca che compare all’inizio del Vangelo è stata copiata da un esemplare nel quale era disposta su due colonne ma lo scriba ha scritto il testo convertendolo in una colonna soltanto senza fare attenzione che il testo da dove copiava era disposto su due: leggendo la copia risulta che il genere umano è partito con Phares (!) mentre Dio risulta figlio di Aram (!!). Questo è evidentemente un caso limite ma è sempre bene tenere conto che i manoscritti purtroppo sono pieni di errori ortografici, omissioni, sviste, tutti i cosiddetti errori “tecnici” di trasmissione che potrebbero aver dato luogo anche a gruppi di testi involontariamente corrotti.

Questi in sintesi i criteri interni più utilizzati per decidere tra due varianti differenti quale sia la più vicina all’originale. Come avrete sicuramente notato la scelta non è facile, nel corso di questi duecento anni di studi si è dibattuto molto e anche oggi testi e antitesi di susseguono. Questo ovviamente pone, a una mente critica, una domanda molto importante: qual’è il vero Messaggio? Una domanda a cui dare una risposta è veramente arduo! Oggi a riguardo di molti passaggi si è raggiunto un grado di accettazione tale che possiamo dire che quel versetto è “bollato” come autentico. Ma questo non esclude che possano essere ritrovati nuovi scritti, frammenti, eccetera che vadano a rimettere in discussione anche ciò che si era definito certo. Purtroppo anche se si sta parlando della “parola di Dio”, come molti teologi affermano, in realtà si sta parlando di scritti manipolati da comunità primitive, da scriba e da sette eretiche, tutti con il fine di giustificare le proprie idee, per cui il percorso per ricostruire quanto gli agiografi avevano intenzione di trasmettere realmente è ancora molto lungo. Poi rimangono tutti i dubbi legati alla veridicità storica o al senso teologico dei brani riportati nei singoli Vangeli, argomento - che come detto all’inizio della parte (a) di quest’articolo - tratteremo in un prossimo gruppo di scritti.
Ora concludiamo questa nostra trattazione sulla storia dei Vangeli e del Vecchio Testamento parlando del metodo Westcott-Hort.

Con la catalogazione dei manoscritti e i criteri di esame precedentemente delineati, Westcott ed Hort scrissero il loro Nuovo Testamento ricostruito, The New Testament in the Original Greek, pubblicato a Londra nel 1881, il più possibile vicino ai documenti originari, andati perduti, secondo i metodi di ricerca filologica adottati dai due studiosi. L’anno successivo (1882) uscì a New York la Introduction to the New Testament in the Original Greek. Il lavoro era iniziato nel 1853 e ha richiesto quindi ben ventotto anni di studi e ricerche. La teoria critica di Westcott-Hort (fine del XIX secolo) ha avuto e ha tuttora un grandissimo impatto presso tutti gli studiosi di critica testuale neotestamentaria. Si può dire senza enfasi che è stata una rivoluzione copernicana in questo genere di studi. Il Nuovo Testamento ricostruito da Westcott ed Hort ha spazzato via il vecchio Textus Receptus utilizzato soprattutto dalle Chiese riformate costruito prevalentemente sul testo bizantino-koinè e le traduzioni fatte sulla base della Vulgata latina di San Girolamo, sorta nel V secolo dal testo occidentale. Non sono mancate proposte di miglioramento al modello W-H ma anche attacchi e critiche da parte di altri studiosi o ecclesiastici in prevalenza di scuola protestante e anglicana. Secondo alcuni esperti Hort avrebbe organizzato il suo lavoro avendo in mente sin dal principio di spazzare via il vecchio Textus Receptus e in modo da assumere come modello per il suo Nuovo Testamento greco rivisto il Codice Vaticano B. In ogni caso il risultato della applicazione del metodo della moderna critica testuale in questo campo è stato drastico: la vecchia Bibbia del Re Giacomo utilizzata in Inghilterra sin dal 1611 venne sostituita a partire dal 1881 dal testo di Westcott ed Hort che diede luogo alla Revised English Version. In Italia la Bibbia nella versione Diodati venne revisionata nel 1916 e sostituita dall’edizione denominata Riveduta. Analogamente la Bibbia di Lutero utilizzata dalla Chiesa protestante luterana, conforme al Textus Receptus, venne completamente rivista nel 1956 in base a principi di moderna critica testuale. Nel 1974 la C.E.I., la Conferenza Episcopale Italiana, ha preparato la prima edizione della Sacra Bibbia C.E.I., “fatta sui manoscritti più antichi”, come si legge nella nota introduttiva. Gli stessi principi fondamentali della teoria W.-H. sono stati adottati dai moderni manuali di critica testuale.

Quale garanzia possiamo avere sull’affidabilità ed attendibilità delle teorie di Westcott ed Hort? Il loro metodo è scientificamente accettabile oppure è da ritenere esso stesso un’interpolazione, avendo di fatto ritoccato ed emendato il testo che si era andato formando sino alla fine del XIX secolo? Dobbiamo davvero leggere il Vangelo di Marco senza il suo classico finale, rifiutare la genuinità dell’episodio dell’adultera di Giovanni o cominciare a ipotizzare che Barabba, in realtà, si chiamasse davvero Gesù Barabba? La stessa Bibbia della C.E.I., la Conferenza Episcopale Italiana, a cominciare dall’edizione del 1974, omette alcuni versetti presenti in vecchie versioni con la spiegazione “questi vv. mancano nei manoscritti più antichi” e segnala che alcuni passi molto importanti dei Vangeli e del resto del NT sono di incerta e non univoca identità.

Westcott ed Hort – come abbiamo visto – hanno attribuito una grande importanza al testo H neutrale-alessandrino, sostenendo che nei documenti di questa classe il materiale spurio è davvero poco e non significativo e che esso può essere messo in evidenza per confronto con i manoscritti catalogati nelle altre famiglie. Dunque tutti i manoscritti appartenenti a questa categoria sono molto probabilmente i più simili agli originali e i più qualificati a rappresentarli, in particolare il Codex Vaticanus e il Codex Sinaiticus. Altri studiosi hanno sostenuto che in realtà nulla assicura che anche questi manoscritti non siano frutto di “recensioni” massicce e quindi non è detto che la percentuale di materiale spurio in essi contenuto sia veramente trascurabile. A favore delle teorie di Westcott ed Hort possono essere chiamati a testimoniare alcuni manoscritti scoperti dopo la pubblicazione dei loro lavori. Per esempio il papiro di Bodmer P75 (inizio del III secolo) contiene gran parte dei Vangeli di Luca e Giovanni e appare molto simile al testo del Codex Vaticanus e quindi anche a quello del Sinaiticus. Anche altri manoscritti rinvenuti nel XX secolo come il papiro P45 o il papiro P46, più antichi del Vaticanus e Sinaiticus (i manoscritti “principi” della famiglia testuale neutrale-alessandrina) vanno tutti in questa direzione per cui l’eventuale rielaborazione degli originali che avrebbe dato luogo alla famiglia neutrale-alessandrina (Esichio di Alessandria?) non dev’essere stata molto massiccia. Si noti che Westcott ed Hort elaborarono la loro teoria alla fine del XIX secolo quando ancora non erano disponibili tutti questi manoscritti, rinvenuti solo successivamente.

In ogni caso, comunque stiano le cose, si deve sempre tenere conto che la critica testuale moderna più che una scienza esatta è un’arte ed a seconda dei principi di base che si applicano per selezionare i manoscritti più importanti e le lezioni da considerare genuine si possono realizzare differenti versioni del Nuovo Testamento ricostruito (cioè il Nuovo Testamento più vicino possibile agli originali e depurato delle varianti e delle interpolazioni, oltre che degli errori) così come di qualunque altro testo a cui essa viene applicata. In genere, ad esempio, si tende sempre a utilizzare l’assioma, tipico della critica interna, secondo cui i testi più brevi e scarni sarebbero quelli più antichi e più vicini agli originali, dunque più affidabili, mentre i testi più ricchi di materiale e lunghi sarebbero sorti a furia di emendare ed armonizzare i testi precedenti ed aggiungere qui e là delle varianti. In quest’ottica è intuitivo pensare allora che un testo come il Vangelo di Marco, il vangelo più scarno e breve tra quelli “canonici”, sia molto antico e quindi più “autentico” di altri (e questa infatti è la tendenza seguita dalla maggioranza degli studiosi oggi). Ma chi assicura che questo Vangelo in realtà non sia soltanto un riassunto, un’edizione “breve” di uno degli altri due sinottici, in particolare di Matteo?

Queste considerazioni valgono per qualunque testo, ma sono particolarmente sentite nel caso del Nuovo Testamento, sia per motivazioni scientifiche che per motivazioni dottrinali. La lotta di chi avversa la critica testuale moderna applicata al NT da un punto di vista scientifico e metodologico è sostanzialmente una lotta del numero contro la qualità: possono pochi manoscritti (per lo più provenienti dall’Egitto, dalla zona di Alessandria) reputati più attendibili e antichi spazzare via il 90% dei documenti esistenti? Si può costruire il Nuovo Testamento greco solo sulla base di pochi manoscritti rifiutando tutto il resto? Secondo Westcott ed Hort e i suoi successori sì. Secondo i contrari ai metodi “moderni” non si è invece tenuto conto a sufficienza del fatto che alcuni manoscritti molto antichi, soprattutto quelli dell’area egiziana, potevano aver risentito dell’influsso di sette eretiche, come quella gnostica o quella nata dallo scisma di Marcione. Alcune omissioni o varianti seppure molto antiche potrebbero derivare da queste influenze.  I principi interni che abbiamo esposto sopra e adottati dal metodo di Westcott-Hort, in particolare quello della lezione breve e quello della lezione difficile, in generale portano a costruire un tipo di testo più scarno anche se in molti casi la maggioranza dei manoscritti ha un testo più lungo minimizzando l’influenza delle omissioni involontarie del testo. Inoltre le lezioni difficili portano a prestare fede ad alcuni documenti mentre la quasi totalità dei manoscritti esistenti dice un’altra cosa: se fossero degli errori è evidente che il principio della lezione difficile avvallerebbe degli errori. I detrattori del metodo di Westcott-Hort, oltre alla rigidità dei parametri di critica interna, hanno poi criticato il metodo genealogico – la pietra angolare del metodo di Westcott ed Hort perché consente di selezionare i testimoni importanti – che abbiamo per sommi capi presentato: chi ha esaminato tutti e cinquemila i manoscritti esistenti del NT nei minimi dettagli e tutte le varie traduzioni in lingue antiche per stabilirne le concordanze o le discordanze? Dov’è un albero genealogico completo? Come si dimostra che il testo bizantino è davvero frutto di una recensione abbastanza significativa avvenuta ad Antiochia e quindi è corrotto? Il testo neutro – attestato soprattutto dal Codex Vaticanus e dal Sinaiticus – è davvero il più attendibile di tutti? Da ultimo alcuni studiosi di recente hanno evidenziato caratteristiche tipiche del testo bizantino anche in papiri che universalmente si consideravano tipicamente “neutri” o “cesariensi” così che questo genere di testo è stato un po’ rivalutato negli ultimi anni. Questa metodologia, che tende a ridurre la ricchezza dei passi del NT e a perderne anche alcuni molto importanti (vedi il finale di Marco che sarebbe a rigore da scartare seguendo questa linea, oppure l’episodio dell’adultera in Giovanni) ha ricevuto pertanto anche forti critiche, sebbene essa sia oggi assolutamente dominante in questo genere di studi. Si può poi postulare un principio opposto a quello della conflazione. Dati due manoscritti contenenti due passi A e B in tutto o in parte discordi (di cui uno dei due è però per ipotesi fedele all’originale, per esempio A) abbiamo osservato che in genere un redattore che doveva costruire un terzo manoscritto leggendo A e B tendenzialmente riportava una terza versione C che era l’unione e la rielaborazione di A e B (processo di conflazione). Ma chi assicura che non siano esistite scuole particolarmente rigide che di fronte ad A e B, constatando l’ambiguità, abbiano omesso nelle loro copie C sia A che B scartandole entrambe per non fare torto a nessuna? In tale caso è evidente che si viene a produrre un manoscritto C che da un lato non contiene la lezione interpolata B (e questo senz’altro è un fatto positivo) ma dall’altro omette anche la lezione autentica A (e questo è di certo meno positivo) dunque viene di fatto perduto per strada un passo genuino e il testo di questo “filone” non include tutto il testo originario ma piuttosto lo interseca. Tornando alla questione di Marco: può darsi che circolassero anticamente due finali diversi e che una scuola particolarmente severa abbia deciso di costruire un testo privo del finale per  mettere tutti d’accordo (in questo caso probabilmente non è così per motivi interni al testo di Marco). Ma così facendo se mai esisteva davvero un finale veramente autentico esso è andato perduto nella tradizione di quella scuola. Se noi accettiamo come qualificati i manoscritti di quella scuola ecco allora che perdiamo per sempre il finale di Marco. La questione può quindi essere posta in questi termini: è meglio avere poco ma sicuro (col rischio però di perdere una parte di autenticità a causa di criteri troppo rigidi) oppure è meglio avere molto, ivi compreso quasi tutto quello che è autentico, mescolato però a interpolazioni e aggiunte varie? E’ meglio leggere un finale di Marco contenente la descrizione delle apparizioni di Gesù dopo la risurrezione anche se molto probabilmente l’ipotetico testo di Marco era assai diverso o è meglio, nel dubbio, non leggere più niente? Sconfiniamo così pian piano nelle motivazioni teologiche che portano a parteggiare o meno per la critica testuale applicata al NT con i criteri che abbiamo visto. Le motivazioni dottrinali riguardano la circospezione e il sospetto con cui molti teologi ed ecclesiastici (soprattutto protestanti e anglicani, fedeli all’antico Textus Receptus, mentre la Chiesa Cattolica ha accettato ed anzi promosso lo studio critico del Nuovo Testamento secondo principi moderni) guardano a queste cose: se il NT è da un punto di vista teologico la Parola di Dio, esso può essere emendato e ricostruito a tavolino applicando criteri scientifici oppure deve essere accettato così come si è andato formando nel corso dei secoli? Si può mai applicare la scienza alla Parola di Dio influenzando il pensiero di milioni di fedeli cristiani cattolici, protestanti o anglicani in tutto il mondo? A queste argomentazioni, che poco hanno di scientifico, i sostenitori dell’altra parte rispondono che è proprio per risalire a quanto originariamente è stato effettivamente scritto dai primi cristiani e spazzare via errori, omissioni, materiale non conforme al pensiero degli autori del NT ed interpolazioni nella trasmissione del testo e conseguentemente avvicinarsi maggiormente alla Parola di Dio (trasmessa nei secoli da mani umane forse non proprio infallibili) che questi studi di revisione critica vengono posti in essere.

Dopo Westcott ed Hort ci sono stati nel corso del XX secolo molti altri studi scientifici di critica testuale e tentativi di pubblicare un testo greco il più possibile vicino agli originali sulla base del materiale che nel frattempo era stato scoperto, come i papiri di Chester Beatty o di Bodmer. Una delle edizioni critiche del NT oggi più autorevoli è il Nuovo Testamento greco di Nestle e Aland che ha raggiunto la XXVIII edizione (denominata NA28) nel 2012 (come detto quella che uso io. Se qualcuno volesse comprarla consiglio quella con la traduzione ESV - English Standard Version - a fronte, traduzione recentissima e molto accurata). I principi di base derivano sempre comunque dal lavoro e dalle proposizioni introdotte da Westcott ed Hort alla fine del XIX secolo: essi infatti sono stati accettati dalla quasi totalità degli studiosi moderni. Le edizioni critiche del Nestle-Aland sono lo standard seguito oggi dai teologi, dagli storici, dai traduttori, dalle Società bibliche e dagli Istituti in tutto il mondo. Tra le varie edizioni critiche segnaliamo anche quella di A. Merk – G. Barbaglio, Nuovo Testamento greco e italiano, edizioni dehoniane, Bologna, 1984, sinteticamente citata come Merk-Barbaglio.

Chiudiamo con queste indicazioni questo brevissimo (anche se non proprio così breve) trattato sulla storia dei Vangeli. Tutto ciò sarà da tenere in forte considerazione sia in relazione ai prossimi articoli sulla storicità di quanto scritto in questi versetti e, soprattutto, in relazione all’indagine sull’umanità e sul suo grado di elevarsi a vette inaudite quando la mente si libera da certi meccanismi dogmatici.

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